Era il 26 marzo 2000 quando, per la prima volta, Vladimir Putin veniva eletto come presidente della Federazione russa. E’ rimasto in carica dal 2000 al 2008, anno in cui ci fu l’avvicendamento con Dmitrij Medvedev. Alle presidenziali del 2012 tornò a essere eletto presidente con il 60% delle preferenze; a quelle del 2018 il consenso verso Putin superò il 76%.
Breve biografia di Putin
Di origini modeste, era nato nel 1952 e cresciuto nell’allora Leningrado in una kommunalka (abitazione tipica dell’Unione Sovietica in cui più nuclei familiari condividevano spazi in comune). Il nonno aveva lavorato come cuoco in una dacia per Lenin e Stalin. La madre era operaia e il padre sommergibilista nella marina militare e arruolato in un gruppo di sabotatori. Si laureò in legge nella stessa San Pietroburgo ed entrò nel KGB. Per i servizi segreti lavorò dal 1985 al 1989, nella Repubblica Democratica Tedesca. Al ritorno in Russia si schierò con l’ala favorevole alla Perestrojka e ricoprì diversi incarichi nell’amministrazione municipale di San Pietroburgo retta dal riformista Sobcak. Dal 1996 si trasferì a Mosca ed entrò nello staff del Presidente Boris Eltsin. Dopo essere stato a capo del Consiglio di Sicurezza Federale (ex KGB) e a capo del Consiglio di Sicurezza Russo, assunse la carica di primo ministro nell’agosto del 1999. Divenne ad interim capo dello Stato dopo le dimissioni a sorpresa di Eltsin nella notte di Capodanno. E’ stato il primo presidente russo a recarsi in visita nello stato di Israele nel 2005.
L’intervista
Per cercare di comprendere meglio chi sia Vladimir Putin, quali siano le sue mire, Interris.it ha intervistato l’ambasciatore Armando Sanguini, che ha ricoperto la carica di ambasciatore italiano in Tunisia e in Arabia Saudita e ora è senior advisor Medio Oriente e Nord Africa dell’ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale.
Da capo del Consiglio di Sicurezza Federale (ex Kgb) a Capo del Consiglio di sicurezza Russo, poi primo ministro e dopo le dimissioni di Eltsin, presidente della Russia. Chi è Vladimir Putin?
“E’ una personalità molto forte, caratteristica che non si riflette nei suoi tratti somatici che sono gentili. E’ un uomo di grande determinazione e durezza, che non credo sogni il ritorno alla ‘grande madre Russia’. Penso che lui, da anni, ritenga che non sia accettabile avere militari sull’uscio di casa propria, da una parte, dall’altra credo che voglia manifestare il suo senso di protezione dei russofoni e dei russofili, questo perché ritiene sia una sorta di missione di potere. Ecco, direi che si tratta di un uomo di potere dalle fattezze gentili, senza particolari scrupoli ma che vuole collocarsi ai vertici degli equilibri del mondo. Negli ultimi mesi, in fondo, Putin è riuscito a stare su tutte le prime pagine dei giornali del mondo oscurando la stessa Cina, non è un fatto di poco conto. Lui ha fatto carriera perché è un uomo determinato, deciso, che riesce a colpire per primo, ci è riuscito fino ad ora, ma non so se riuscirà a farlo anche in futuro. C’è una forte opposizione in Russia contro Putin, opposizione che cresce sempre di più, ma ritengo che ancora abbia un discreto sostegno da parte della popolazione, magari non di quella delle grandi città, ma la Russia è un Paese molto grande”.
Nel 2008 l’avvicendamento con Dmitrij Medvedev, poi nel 2012 è stato di nuovo eletto come presidente della Russia e rieletto nel 2018 con un consenso record. Come mai i russi lo hanno votato di nuovo?
“Sicuramente perché, come presidente, è piaciuto di più Medvedev. Nel 2018 è stato eletto con un grande consenso, oltre il 76%. Sarà anche vero che le elezioni siano state truccate, ma nei Paesi autocratici accade questo e il peggio di questo. Le faccio un esempio: anche Bashar al-Assad è stato eletto con un consenso record, poi messo al bando. Oggi, gli stessi Paesi arabi lo stanno riaccogliendo perché ritengono che così possano essere meglio difesi nei confronti dell’Iran. La popolazione russa non vuole apparire come una potenza regionale. In fondo, l’idea che rappresenti uno dei tre pinnacoli del mondo piace ai russi”.
In alcune occasioni Putin è stato definito “lo zar più onnipotente di tutte le Russie”, in altre è stato definito un “folle”. Qual è la verità?
“Penso che queste definizioni facciano parte di quel ‘giornalismo d’accatto’ e siano necessarie a chi a tutti i costi ha bisogno di un aggettivo per qualificarlo. Io credo che non sia un pazzo, ha fatto male i suoi conti. Penso che si debba sfuggire da queste definizioni. E’ un autocrate, con tutti i difetti degli autocrati, che evidentemente non ama le lentezze e le esitazioni della democrazia, ma che possiede molto acume che gli ha permesso di arrivare dove è ora. Le vere domande da porsi sono queste: sta sbagliando in Ucraina o no? La seconda invece è questa: noi vogliamo continuare a lasciarlo sbagliare o aiutarlo a correggersi?
Io le porrei un’altra domanda: dove vorrà arrivare Putin? Si accontenterà di conquistare l’Ucraina o penserà di includere nelle sue mire anche l’Europa?
“Proprio perché Putin non è un pazzo, non credo che abbia nessuna intenzione di inglobare l’Ucraina: è un Paese troppo grande, sarebbe troppo complicato. Soprattutto, c’è una grande parte che non ha nessuna intenzione di passare sotto il controllo della Russia. Ma sapendo le lamentele di Putin, mi chiedo se non ci sia un terreno su cui sviluppare un accordo degno di questo nome. Trovo che oggi ci sia un’accelerazione sul piano della condanna in nome di ideali – e sottolineo giustissimi, profondi e assolutamente da difendere – ma si sente anche un ‘armiamoci e partite’ o potremmo anche dire ‘vorrei ma non posso’. E’ un modo di difendere gli ideali molto pragmatico, ma in realtà, non ci sono proposte, anche provocatorie, avanzate a Putin affinché acceda a un tavolo di negoziati”.
Nonostante gli allarmi lanciati dai servizi segreti sull’imminente attacco russo in Ucraina, nessuno ha mai creduto a questa possibilità fino al 24 febbraio. Perché tutti hanno sottovalutato le intenzioni di Putin?
“Per mesi siamo stati sollecitati in un allarme permanente rispetto a un’invasione che era imminente. La domanda che io vorrei fare è: perché non abbiamo cercato di impedirlo? Indipendentemente da tutto, non credo che Putin sia disposto a lasciare la partita senza ottenere un risultato. In questo momento, ho l’impressione che ci sia una tifoseria da stadio: da una parte schierati coloro che sono contro Putin, dall’altra coloro che sono pro Putin. Se si appartiene a quest’ultima fazione sei finito, emarginato. Ma questo non vuol dire che si sta cercando di giustificare quanto lui sta facendo, ma bisogna ricorda che le connessioni storiche sono importanti. Nel Donbass, le persone combattono da oltre otto anni per ottenere un’indipendenza dell’Ucraina. Ribadisco, questo non viene detto per trovare delle scuse a Putin. Ma non esistono solo il bianco e il nero, il colore dominante è il grigio. La domanda con cui vorrei concludere è questa: io sarei disposto ad andare in Ucraina a combattere per la libertà? Il resto è solo teoria”.