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Anno sabbatico: la vita in stand by. Opportunità o rischio?

La società contemporanea ha ancora intenzione di attendere i tempi e le pause degli studenti neodiplomati o li discrimina come scansafatiche?

L’“anno sabbatico” degli studenti è il periodo di pausa successivo al conseguimento del diploma, ritenuto utile (consolidato da decenni ed “esportato” in quasi tutto il mondo), affinché i giovani possano riposarsi, viaggiare ed effettuare nuove esperienze formative.

Il termine “sabbatico” deriva dalla tradizione ebraica del V secolo A.C.: ogni 7 anni se ne lasciava uno per far riposare la terra, per condonare i debiti e rendere liberi gli schiavi. La locuzione trae origine dal termine “shabbat” (sabato), la giornata del riposo per il popolo ebraico. Gli anglosassoni preferiscono utilizzare l’espressione “gap year”.

L’obiettivo meditativo e riflessivo è quello più ricercato, all’origine di moltissimi casi di anno sabbatico. Data la particolarità dell’età in cui si verifica, quella in cui si comincia a uscire dal guscio domestico per affrontare un nuovo percorso in autonomia, la riflessione è di fondamentale rilievo. Il discernimento e una più opportuna ricollocazione dei valori e delle priorità, possono determinare anche importanti cambiamenti di vita, di nuova impostazione spirituale, sino a un autentico cammino di conversione.

Fra le prospettive che si aprono, nel momento di ricavarsi un anno di “riflessione”, vi è anche quella, nobile, del volontariato: un’esperienza che sicuramente arricchisce moralmente e offre una visione più completa (e diversa, rispetto al passato) del mondo, della società e delle opportunità. In alcuni casi, lo sforzo profuso per conseguire il diploma giustifica, maggiormente, l’esigenza di un periodo di riposo per sanare l’equilibrio psicofisico e ripartire, poi, con rinnovata voglia.

La pausa può essere utile per evitare decisioni affrettate, soprattutto nei casi in cui ancora non si abbiano idee chiare sul proprio futuro lavorativo. È opportuno, inoltre, che la decisione di “fermarsi” sia presa in autonomia, senza condizionamenti e pressioni.

Nonostante sia una fattispecie consolidata da decenni, quella del gap year ha conosciuto una sponsorizzazione di rilievo quando, nel 2016, la figlia maggiore di Obama, Malia, annunciò di procedere, terminati gli studi superiori, verso un periodo di pausa, per poi cimentarsi con gli studi universitari.

All’Udienza Generale del 6 dicembre scorso, Papa Francesco ha ricordato “Il Signore paragona il dinamismo del Regno di Dio a ‘un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce’ […] Lo Spirito è il protagonista, precede sempre i missionari e fa germogliare i frutti. […] Il primato dello Spirito non deve però indurci all’indolenza. La fiducia non giustifica il disimpegno. La vitalità del seme che cresce da sé non autorizza i contadini all’incuria del campo. […] Il Signore non ci ha lasciato delle dispense di teologia o un manuale di pastorale da applicare, ma lo Spirito Santo che suscita la missione. E l’intraprendenza coraggiosa che lo Spirito infonde ci porta a imitarne lo stile, che sempre ha due caratteristiche: la creatività e la semplicità”.

Luca Pieti, psicologo e professore universitario, è l’autore del volume “Giovani, social e disoccupati” (sottotitolo “Alla scoperta di una generazione che rifiuta le tradizionali dinamiche lavorative”), edito da “Franco Angeli” il 30 novembre scorso. Parte dell’estratto recita “Veramente i giovani non hanno più voglia di lavorare? Davvero non sono più disposti a investire in un lavoro? Il libro si addentra in questo labirinto di domande attraverso analisi psicologiche e sociologiche, per svelare le cause che si celano dietro tale comportamento. In un mondo dove i social network influenzano profondamente le nostre visioni e le differenze culturali continuano a mutare, è essenziale comprendere come la percezione della realtà dei giovani diverga in modo così marcato da quella delle generazioni precedenti”.

Skuola.net, portale dedicato agli studenti, il 30 ottobre scorso, al link  https://www.skuola.net/news/inchiesta/elis-pausa-dopo-diploma.html, ha pubblicato “Dopo il diploma”, l’osservatorio annuale condotto “su un campione di 3.200 alunni delle scuole superiori-in collaborazione con ELIS, realtà no profit specializzata nella formazione al lavoro. Il trend del cosiddetto ‘anno sabbatico’, inoltre, è in costante ascesa: se nel 2021 solo l’11% del campione interpellato metteva in conto un periodo di pausa, un anno dopo era il 13% e ora rappresenta il 16%. […] Perché la motivazione principale che spinge alla sosta momentanea è un’altra: la voglia di fare esperienze che vadano oltre il classico binomio studio-lavoro è la risposta più diffusa, indicata da quasi un terzo (30%) di quanti stanno pensando all’ipotesi ‘anno sabbatico’. Ovviamente, però, il timore di compiere scelte errate è molto presente. Perché oltre un quarto di loro (28%) sarebbe spinto dalla necessità di disporre di ulteriore tempo per decidere in merito al proprio futuro, per ragionare a mente fredda, per valutare, per schiarirsi le idee. Mentre una quota inferiore (23%), ma comunque significativa, immagina che una pausa possa giovare in particolare al proprio benessere psico-fisico, vero nervo scoperto per migliaia di giovani. […] Solamente 1 su 5, invece, interpreterebbe quel periodo come una sorta di resa dettata dall’assenza totale di prospettive”.

Si è verificato anche un diverso orientamento: se, in passato, il disimpegno per un anno era considerato in maniera quasi esclusivamente critica, figlio di pigrizia e indolenza, negli ultimi tempi, invece, si assimila a un’esperienza di vita che, nei curriculum e nell’approccio di recruiter e responsabili della gestione del personale, è ben apprezzato.

Il mercato e il mondo del lavoro sono cambiati: il recruiter, e l’azienda che assume, preferiscono curriculum dinamici frutto di una cosiddetta “carriera non lineare” al contrario di una statica. Le “variazioni sul tema”, da parte del candidato, sono ben accette e dimostrerebbero maggiori aperture comportamentali e cognitive anziché una competenza rigida e monotematica. Lo stacco non va inteso come se fosse una colpa o una macchia sul proprio curriculum bensì riflettere se sia davvero necessario e contenerlo nei tempi, per evitare che si “cronicizzi”.

Il rischio è quello di confluire e permanere nei cosiddetti NEET, un acronimo inglese (Not in Education, Employment or Training) per definire i giovani fra i 20 e i 34 anni che non studiano non lavorano né frequentano corsi di formazione. Tale triste condizione, per scelta o per costrizione, coinvolge quasi un terzo dei giovani italiani e colloca il Paese nella posizione peggiore, l’ultima fra gli Stati dell’UE.

La scelta, quindi, con il gap year, di rendersi sostanzialmente NEET per un anno, dovrebbe essere poi, convertita in una doverosa e puntuale applicazione a livello formativo o professionale. L’anno sabbatico è soggetto al rischio di oscillare in una direzione, probabilmente infruttuosa, nella fatidica “ricerca di sé”, attraverso seducenti tentazioni spirituali; tale condizione alimenta, altresì, coinvolgenti viaggi intercontinentali verso mete classiche o, al contrario, quasi inesplorate. Al di là delle suggestioni spirituali (operate da qualche santone), di quelle turistiche (nel pianificare al meglio i viaggi) o delle illusioni fra le sirene motivazionali dei “life coach” (allenatori dell’anima), l’anno di pausa dovrebbe essere investito, proficuamente e risparmiato da tali evanescenti prospettive. I giovani sono confusi e distratti da moltissime opportunità lavorative, non sempre coincidenti con la giusta dignità del lavoratore.

Occorre capire se l’anno di pausa sia da considerarsi come un periodo di profonda riflessione sul futuro e la strada da intraprendere, evitando pericolose decisioni d’istinto, oppure un prender (e perder) tempo per la paura di sbagliare. In quest’ultimo caso, significa sperare, in una pericolosa posizione attendista e passiva, di essere beneficiati in qualche modo; salta, così, la programmazione e la costruzione attiva del proprio profilo professionale. L’anno sabbatico, in tal caso, rischia di divenire un decennio sabbatico.

L’Istituto IARD (Identificazione e Assistenza Ragazzi Dotati), network di ricerca sulla condizione e le politiche giovanili, distingue le seguenti 5 soglie: 1) uscita dal circuito formativo, 2) entrata in modo continuativo nel mercato del lavoro, 3) uscita dalla casa dei genitori, 4) creazione di una nuova famiglia, 5) nascita di un figlio.

Il problema è di carattere sociale poiché un disimpegno dei giovani nel lavoro e nello studio è condizione che facilita l’emarginazione e l’esclusione. Il pessimismo che circonda una fascia di età sopraggiunta a scelte importanti, professionali e familiari, può avere ripercussioni e frustrazioni enormi.

Una sana coesione sociale con i coetanei è frutto anche di scelte ponderate e di opportunità da poter conseguire. La società attuale, ipercompetitiva e selettiva, è poco disposta a recuperare chi si attarda e alimenta il facile pregiudizio del giovane come sinonimo di nullafacente anziché depositario di competenze.

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