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Il più grande incubo e il più grande sogno che al-Sudani porta con sé

E’ una valigia piena di incubi e qualche sogno, importanti sebbene non a portata di mano, quella che il premier iracheno, al-Sudani, porta con sé nel suo viaggio romano, tenuti insieme dal fatto che tutti in patria e all’estero, lo considerano “un interlocutore affidabile”. Quasi uno sconosciuto, in breve tempo al-Sudani è diventato “credibile e affidabile” per l’Iraq e per il mondo, proprio come capitò al suo predecessore al-Maliki. Molti hanno temuto che al-Sudani fosse partito con il piede giusto, troppo giusto, donando al suo Paese che lo attendeva da tempo, un budget addirittura triennale. Quale migliore occasione per la maggioranza, la coalizione sciita, per toglierselo dai piedi, una volta che il lavoro più importante e difficile era stato fatto con sorprendente, impensabile velocità in un paese fratturato come l’Iraq. Non è andata così.

Infatti al-Sudani ha saputo anche svolgere un ruolo decisivo nel complesso processo che ha portato a ristabilire relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, intesa firmata a Pechino, e questo ha ridotto la principale pressione sul suo Paese, lo scontro per procura che si combatteva anche in Iraq tra sauditi (musulmani sunniti) e iraniani (musulmani sciiti). Ma la forza maggioritaria che sostiene il suo governo di unità nazionale, la coalizione che si dice “sciita”, rimane formata da milizie fedeli a Tehran più che a lui, e al-Sudani lo sa. Per questo il suo più recente e brillante successo, l’intesa con tutti gli altri vicini, dai turchi agli emirati passando per il Qatar, di un’intesa da 20 miliardi di dollari che porterebbe le merci dei Paesi del Golfo in Europa passando due soli controlli doganali, è un sogno dal sapore inquieto: gli investimenti andrebbero quasi tutti in Iraq che non ha ferrovie come molto altro, ma con l’offensiva turca contro i gruppi curdi che Ankara ritiene legati al PKK (i guerriglieri che per Ankara sono terroristi) in atto anche in questi giorni, la stabilità non c’è e difficilmente ci sarà e quindi è difficile immaginare investimenti così cospicui. Anche perché se i turchi ottenessero ciò che cercano e imponessero un “ordine” a loro gradito, il progetto -denominato Development Road, potrebbe decollare, ma a quel punto sarebbe l’Iran a destabilizzare l’Iraq, per impedire una crescita eccessiva dell’influenza turca su quell’Iraq che Teheran considera il suo “patio trasero”, cioè al massimo un fedele satellite.

Queste sono in gran parte le conseguenze della guerra del 2003, alla quale si oppose soprattutto Giovanni Paolo II, consapevole dei disastri che la famosa “war on terror” avrebbe causato, a partire proprio dall’Iraq. Finalizzata ad “esportare la democrazia” in Iraq e poi chissà dove, la guerra di Bush ha di fatto prodotto la consegna di un Iraq devastato agli arcinemici di Washongton, le milizie khomeiniste, quelle che ancor oggi costituiscono la “maggioranza politica” che sostiene il governo. A ricordare al mondo, e all’Iraq, che lo sciismo è proprio altra cosa ci ha pensato Francesco, con il suo viaggio epocale in Iraq e soprattutto a Najaf, sede della principale scuola teologica sciita guidata dal non khomeinista ayatollah Ali al Sistani, che ha sempre negato legittimità teologica alla teocrazia. Chi, paradossalmente, ha legittimato sul terreno il khomeinismo è stata proprio la “war on terror”, che distruggendo il Paese ha dato la patente di “resistenti” anche a loro, ai miliziani khomeinisti che ancora oggi taglieggiano la popolazione, conquistando spazi in termini confessionali. Il loro “capolavoro” è stata la creazione di una milizia “cristiana”, Babilonia, che di fatto ha ordito il complotto contro il patriarca caldeo Louis Sako, costretto a rifugiarsi nel Kurdistan iracheno. Così oggi la millenaria sede caldea di Baghdad è deserta, perché un illegittimo decreto presidenziale ha inteso sottrarre alla Chiesa caldea il controllo dei suoi beni immobili, con l’evidente intenzione di affidarlo proprio a Babilonia, la milizia che con i voti di elettori non cristiani ha conquistato quasi tutti i seggi assegnati alla minoranza caldea in Parlamento. Il suo leader, al Kildani, è noto per una fotografia che lo mostra mozzare un orecchio, ai tempi della guerra all’Isis, a un prigioniero. Ma non basta, è ufficialmente accusato di aver partecipato a razzie di conventi cristiani e al saccheggio di loro proprietà, in particolare nel villaggio di Batnaya. Nella valle di Ninive, nelle proprietà cristiane, chissà come, oggi ci sarebbero nuclei familiari legati ai miliziani khomeinisti. Se non si capisce questo, cioè il ruolo delle milizie khomeiniste che spadroneggiano nel Paese, e il prezioso sostegno che Babilonia, a tutti gli effetti una di loro, gli fornisce per estendere l’egemonia khomeinista anche al nord, non si capisce neanche il possibile, terribile ritorno dell’Isis.

Ai tempi dell’occupazione americana la “cura Petraeus”, la tardiva riforma dei metodi di occupazione militare e di confronto con la popolazione sunnita, determinò la rivolta sunnita contro al-Qaida. Il successivo successo dei khomeinisti favorì invece l’affermarsi del mostro opposto e analogo, l’Isis (insieme ad altri errori e orrori americani). E’ qui che emerge la centralità della figura del patriarca Sako. Quando i giovani iracheni tentarono la loro via alla “primavera”, nel nome della cittadinanza, il patriarca caldeo, già cardinale, fu al loro fianco, nelle piazze della repressione. La conseguente, diffusissima credibilità, irachena, trasversale e interconfessionale, ne ha fatto il solo possibile architetto del viaggio di Francesco, salutato come un vento di rinnovamento nazionale nel nome della comune cittadinanza da parte di sunniti e sciiti, oltre che dei pochi cristiani rimasti dopo il flagello dell’Isis e le angherie khomeiniste.

L’Iraq ha giganteschi giacimenti petroliferi, che usa parzialmente perché le capacità estrattive sono limitate dai danni di tante guerre. La sua collocazione geografica rende evidente che chi controlla l’Iraq controlla il nodo nevralgico che collega l’oriente all’Europa e Mosca al Golfo. La sua storia è antica, l’indimenticabile Mesopotamia. Nessuno può sottovalutare l’Iraq, è tra i più grandi tesori del mondo. Ma solo un mondo pacificato e rispettoso potrà rispettare e pacificare l’Iraq. E’ questo il più grande incubo e il più grande sogno che al-Sudani porta con sé. E mi sembra che ne sia consapevole. L’Europa potrebbe essere un naturale alleato, se ci fosse.

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