Serviva davvero, per dirla alla De Sica, un “miracolo a Milano”. La disfatta dell'Italia, fuori dai Mondiali di calcio per la prima volta dopo 60 anni (curiosamente proprio in occasione del Mondiale di Svezia), non può essere attribuibile esclusivamente ai 90' di San Siro, né a quelli di Solna. Il disastro è frutto di un percorso discendente iniziato da Madrid e terminato alla Scala del calcio, dove si sono palesati, tutti insieme, gli evidenti limiti di gioco e di organizzazione tattica emersi dopo la lezione spagnola inflittaci un paio di mesi fa. Si parlerà certamente a lungo, dando la caccia ai responsabili, di quella che è già stata definita “la Caporetto del calcio italiano”: nel mirino, ovviamente, c'è il ct Ventura, apparso totalmente in balia degli eventi dopo il k.o. del Bernabeu e incapace di imprimere quell'impronta di gioco che, pure, nelle sue squadre si è sempre riscontrata. Lo spirito ieri sera non è mancato, un po' di fortuna sì ma è impensabile accampare scuse del genere: l'Italia, quella vera, di una Svezia come quella vista negli spareggi avrebbe dovuto (e potuto) sbarazzarsi senza problemi. Ma la grinta e la volontà non bastano senza idee. Anzi, senza una idea sola: proprio quella del gioco che, in questi casi, serve per aggirare lo strapotere fisico di un avversario che, a ben vedere, fa di questa l'unica caratteristica identificativa della sua tattica.
Ventura e Tavecchio
A giocarsi il futuro dopo il 'Milanazo', però, non è solo Ventura, il quale si è già scusato con gli italiani e ha rinviato le proprie dimissioni a dopo il colloquio con Tavecchio. A doversi interrogare (secondo quanto da lui detto lo farà per 48 ore) è proprio il presidente della Figc, fra i promotori della scelta del ct ex Toro e alla guida di una barca, quella del calcio italiano, sempre più alla deriva in ambito internazionale. La responsabilità della disfatta, se è del tecnico, è anche della dirigenza, rea di aver contribuito al fallimento di un obiettivo fondamentale non solo a livello di immagine ma anche economico (con svariati di milioni di euro sfumati a causa dell'eliminazione). E il naufragio è arrivato, portando con sé tutto il sistema sul quale il calcio italiano era fin qui impostato. La prestazione degli Azzurri ha rispecchiato esattamente quella crisi identitaria che accompagna un ciclo sulla via del tramonto: attacchi volenterosi, spirito di sacrificio ma deficit quasi totale di manovra. Un avversario solido, anche se del tutto privo di spunti tecnici, in questi casi basta e avanza per provocare collisione e affondamento. A ogni modo, anche se non ancora ufficialmente dimessosi dall'incarico, il futuro di Ventura appare segnato: resta solo da capire a chi sarà affidato il compito di ricostruire dopo il disastro. In lizza ci sono i soliti nomi: Mancini, Allegri, il Conte-bis e, fra i più caldeggiati, quello di Ancelotti.
Investire sui vivai
Ma da cosa bisognerà ricostruire? Sicuramente, servirà una svolta nel sistema calcistico: necessario un investimento sui vivai, per permettere ai giovani talenti di fare quel salto di qualità che, spesso, viene a mancare al momento del passaggio dalle giovanili alla prima squadra. L'urgenza è certamente questa anche perché, andato il Mondiale, se ne vanno anche buona parte dei senatori azzurri: lasceranno Buffon, De Rossi, Barzagli, forse pure Chiellini. Il materiale umano a disposizione del nuovo tecnico c'è: giovani talenti da far crescere, i quali vanno però contestualizati in un meccanismo rodato, che garantisca quell'impronta di gioco venuta clamorosamente meno nelle ultime uscite (anche guardando ai due precedenti Mondiali). Una cosa è certa: la notte del nostro calcio non è mai stata così scura, è l'anno zero. Da qui si deve ripartire. E stavolta il proverbiale orgoglio italiano servirà tutto.