In soli 24 anni di vita terrena Santa Teresa di Lisieux ha impresso una traccia indelebile nel cristianesimo. Dichiarata dottore della Chiesa e invocata per la protezione contro le malattie infettive, è patrona delle missioni nonostante sia stata una suora di clausura che mai si è allontanata dal suo convento. È morta di tubercolosi e ha scritto “Storia di un’anima”, uno dei capolavori della spiritualità di tutti i tempi, dove, tra l’altro, racconta la dolorosa esperienza di un’epidemia che l’ha coinvolta in prima persona.
Marie-Françoise Thérèse – questo il suo nome di battesimo – nasce in Francia nel 1873 ed è figlia di una coppia di santi, i coniugi Martin che sono stati canonizzati dopo di lei. Cresce in una famiglia prodiga in opere caritatevoli come l’accoglienza di viandanti e l’assistenza a malati e anziani.
È ultima di otto figli, tre dei quali morti bambini, e rimane orfana di madre all’età di soli quattro anni. Vive due volte il dramma dell’abbandono a causa del progressivo ingresso in monastero delle quattro sorelle. Entra a sua volta nel Carmelo di Lisieux a soli 15 anni, per uno speciale permesso di Papa Leone XIII che lei stessa è andata a supplicare, a Roma. “Se Dio vorrà, ci entrerai”, era stata la risposta del Pontefice. Al momento della professione dei voti assume il nome Suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo.
Seguendo il suggerimento della superiora, inizia subito a stilare un diario annotando le tappe della sua vita interiore. Elabora un’originalissima spiritualità, definita anche “teologia della piccola via” o dell’infanzia spirituale, che fonda la pratica dell’amore per Dio non nelle grandi azioni, ma negli atti quotidiani pur apparentemente insignificanti. Scrive infatti nella sua autobiografia: “Non c’è che una cosa da fare: gettare a Gesù i fiori dei piccoli sacrifici”. E ancora: “Io voglio insegnare i piccoli modi che mi sono riusciti”. Ma il suo è un duro cammino verso la santità, sia perché non è compresa dalle consorelle sia per la crisi che segna la parte finale della sua esistenza.
Come accennato all’inizio, patisce anche per una dura epidemia, manifestatasi nella comunità dove vive. “Un mese dopo il transito della nostra santa Madre – riferisce – l’influenza si manifestò nella comunità; ero sola in piedi con due altre consorelle, mai potrò dire tutto quello che ho visto, e che cosa m’è sembrato della vita e di tutto ciò che passa… Il giorno dei miei diciannove anni fu festeggiato da una morte, seguita ben presto da altre due. In quel periodo ero sola ad occuparmi della sacristia, la mia maggiore d’ufficio era ammalata gravemente, perciò toccava a me preparare i funerali, aprire le grate del coro per la Messa… Il buon Dio mi ha dato molte grazie di forza in quel momento, mi domando ora come io abbia potuto fare senza paura tutto quello che ho fatto; la morte regnava dovunque… Ma in mezzo a quell’abbandono, io sentivo che il Signore vegliava su noi”.
Giovanni Paolo II propone il suo esempio a tutti i cristiani e in particolare ai giovani, proclamandola dottore della Chiesa e spiegandone la sua originalità: “Di fronte al vuoto di tante parole, Teresa indica come alternativa l’unica Parola di salvezza che, compresa e vissuta nel silenzio, diventa sorgente di vita rinnovata. Ad una cultura razionalistica e troppo spesso permeata di materialismo pratico, ella contrappone con semplicità disarmante la ‘piccola via’ che, rifacendosi all’essenziale delle cose, conduce al segreto di ogni esistenza: la divina Carità che avvolge e permea ogni umana vicenda”.
L’ultimo periodo della vita della giovane transalpina – conosciuta anche come Santa Teresina – inizia nella Settimana santa del 1896 che trascorre in unione profonda alla Passione di Gesù. “Si tratta – come spiegato da Benedetto XVI – della passione del corpo, con la malattia che la condurrà alla morte attraverso grandi sofferenze, ma soprattutto si tratta della passione dell’anima, con una dolorosissima prova della fede. Con Maria accanto alla Croce di Gesù, Teresa vive allora la fede più eroica, come luce nelle tenebre che le invadono l’anima. La Carmelitana ha coscienza di vivere questa grande prova per la salvezza di tutti gli atei del mondo moderno”. Teresa muore nel 1897, ma il suo è solo un apparente commiato perché è convinta di non interrompere la sua missione: “Conto molto di non restare inattiva in cielo, il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime”. Beatificata nel 1923 da Papa Pio XI che la considera la “stella del suo pontificato”, viene poi canonizzata nel 1925. Ci piace concludere ricordando le semplici parole di totale affidamento al Signore che Santa Teresa era solita ripetere: “Tutto è grazia!”.