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Cabine dei piloti (poco) blindate

In un volo andata-ritorno di una compagna internazionale su una tratta europea, è facile accorgersi di come nella sicurezza aerea sussista una notevole differenza tra teoria e pratica. Isolare la cabina dei piloti con un portello anti-intrusione è una misura di sicurezza introdotta dopo l’11 settembre 2001 per impedire ai terroristi di impadronirsi di un aereo. In realtà, tra bambini al “battesimo dell’area” che chiedono di visitare la cabina di comando del velivolo e sposini in viaggio di nozze che bussano per vedere le luci del pannello di controllo, la  blindatura resta solo sulla carta e il portello è tutt’altro che una soglia invalicabile. E ciò a tutto svantaggio dei passeggeri che hanno diritto a ridurre al minimo i rischi durante il volo. Non appare, infatti, così difficile da immaginare una simulazione di “visita in cabina” che dietro la facciata rassicurante di pacifici vacanzieri sveli il volto terrificante di possibili kamikaze in un’epoca di terrorismo globale sempre incombente. 

Le regole e le eventualità

Quali sono le regole di sicurezza in volo? “Quella fondamentale è che i piloti devono stare chiusi nel 'cockpit' senza uscire mai, neanche per sgranchirsi le gambe e tanto meno per familiarizzare con i passeggeri, come succedeva una volta nei voli transcontinentali – spiega Luigi Grassia, giornalista economico della Stampa -. Ovviamente il portello blindato viene aperto se, per esempio, i piloti hanno esigenze fisiologiche e devono andare alla toilette. Ma la procedura è precisa. Bisogna avvertire un assistente di volo, che entra in cabina e prende il posto del pilota che si è allontanato, in modo che all’interno non rimanga mai una sola persona. Questo nell’eventualità che l’unico pilota che resta ai comandi si senta male e non possa chiamare aiuto. Inoltre su quest’unico pilota ai comandi grava l’imperativo assoluto di non alzarsi mai e poi mai dal suo posto, almeno lui, finché non torna il collega”.

Uno strappo poco opportuno

Fin qui la teoria. “La pratica è abbastanza diversa”, precisa Grassia. Le procedure non vengono seguite con rigore. Spesso non si fa entrare l’assistente di volo in sostituzione del pilota assente. Si segue questo ragionamento, perché distogliere una hostess dal servizio ai passeggeri? È inutile. Così le regole diventano un po’ lasche. La regola è quella delle due persone sempre in cabina di pilotaggio. Poi come rientra l’altro pilota? “Anche qui c’è una procedura ben determinata, passo dopo passo – puntualizza Grassia -. Il pilota rientrante deve farsi riconoscere dall’esterno, dove è piazzata una piccola telecamera, e digitare un codice. Questo però non gli consente di entrare automaticamente: chi sta dentro deve azionare una levetta e confermare l’apertura. Se dall’interno non c’è risposta, perché (ad esempio) il pilota che sta ai comandi si è sentito male, esiste un secondo codice di accesso che sblocca comunque la porta blindata dopo 30 secondi. Però anche dopo che è stato digitato questo secondo codice chi si trova all’interno ha la possibilità di intervenire prima che scadano i 30 secondi per impedire l’apertura. È un’ulteriore misura di sicurezza: chi ha digitato il codice di accesso da fuori potrebbe essere sotto la minaccia delle armi”. E se il codice di accesso viene dimenticato, o non funziona? Per strano che possa sembrare, è già capitato. In diverse occasioni (una quattro anni fa) una porta blindata è rimasta bloccata nonostante cercassero di aprirla sia il pilota che stava fuori sia quello dentro. Un fatto meccanico. Succede. “Un Paese le cui esigenze di sicurezza sono estreme, come Israele, ha deciso di risolvere i problemi in modo drastico sistemando una toilette all’interno della cabina dei piloti, in modo che per tutto il volo non ci sia necessità di uscire”, afferma Grassia. Sicuramente bussare alla cabina di pilotaggio non è la traduzione aerea del precetto evangelico (“Bussate e vi sarà aperto”), ma uno strappo poco opportuno di questi tempi ai protocolli di sicurezza.

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