“Non esiste povertà peggiore di chi non ha amore da dare“, insegna Madre Teresa. Tre decenni fa l’Onu ha istituito la Giornata Internazionale per l’eliminazione della povertà e così, nella ricorrenza odierna, siamo tutti chiamati a sensibilizzarci su un problema che, nonostante il progresso tecnologico, l’estensione del benessere materiale e, in teoria, il sempre più diffuso riconoscimento dei diritti umani, riguarda ancora la maggior parte dell’umanità. “Non solo nei Paesi più poveri, ma anche nel ricco Occidente, la povertà non si misura soltanto in termini economici – avvertono le Nazioni Unite -. Per bambini e adolescenti sono importanti anche le opportunità di crescita educativa. quando mancano, si sconta la povertà educativa”.
Ossia “la privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. In sintesi, oggi siamo invitati come individui e comunità a dare alle nuove generazioni la possibilità di avere un futuro. La povertà, secondo Francesco, non è frutto del destino, bensì conseguenza dell’egoismo. Nessuno ne è esente. “Ci sono molte povertà dei ricchi che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei poveri – evidenzia il Pontefice -. I poveri sono come maestri per noi. Ci insegnano che una persona non vale per quanto possiede, per quanto ha sul conto in banca. Un povero, una persona priva di beni materiali, conserva sempre la sua dignità. I poveri possono insegnarci tanto anche sull’umiltà e la fiducia in Dio“. Ma la povertà teorica non ci serve: “La povertà si impara toccando la carne di Cristo povero, negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini”. Nella Scrittura la preghiera del povero sale fino a Dio che si prende cura di quelli che ne hanno più bisogno: gli emarginati, i sofferenti, i dimenticati. “Tutti siamo poveri e bisognosi – afferma il Pontefice -. Tutti siamo mendicanti eppure viviamo come se fossimo noi i padroni della vita”.
La mentalità mondana, infatti, chiede di diventare qualcuno, di farsi un nome a dispetto di tutto e di tutti, infrangendo regole sociali pur di giungere a conquistare la ricchezza. E invece, testimonia il Magistero, la felicità non si acquista calpestando il diritto e la dignità degli altri. Tra i nuovi poveri ci sono le vittime innocenti delle guerre e della “cattiva politica fatta con le armi”. Proprio la Santa di Calcutta, protettrice degli “intoccabili”, parlò all’assemblea generale dell’Onu mostrando la corona del Rosario che teneva sempre in mano: “Sono soltanto una povera suora che prega. Pregate anche voi e vi accorgerete dei poveri che avete accanto nello stesso pianerottolo di casa“. Anche le radici del pontificato di Jorge Mario Bergoglio affondano nella povertà che è al centro del Vangelo. Un filone di testimonianza mai interrotto nella storia della Chiesa: ogni movimento religioso, come quello benedettino, francescano, gesuita, ha sempre posto la povertà come fondamento della propria spiritualità. E la misericordia è esattamente l’attuazione della Parola.
L’attenzione agli ultimi, quindi, è abbandono nel senso di affidamento senza riserve alla divina Provvidenza, cioè la certezza della misericordia del Signore, la capacità di mettersi nei panni dell’altro in difficoltà, nel senso di condividere il cammino di ogni uomo, soprattutto del povero. Ecco, dunque, la configurazione della povertà non solo come condizione umana da prediligere, bensì come vero e proprio luogo teologico per eccellenza perché “lì c’è Dio”. Sotto il profilo dei contenuti il riferimento storico è il Patto delle catacombe, sottoscritto sessant’anni fa da quei padri conciliari che ritenevano indispensabile una maggiore cura della povertà. Molti tra i promotori del documento erano vescovi latinoamericani, inclusi alcuni presuli argentini con cui il gesuita Jorge Mario Bergoglio era in contatto. Il Patto esprimeva anche l’impegno a esercitare in modo rinnovato il ruolo di pastore, compresi stile di vita e segni esteriori. A confermarlo sono tutta la ricchezza e la varietà delle elaborazioni teologiche e pastorali latinoamericane in materia di opzione preferenziale per i poveri. Ma anche su questo punto Francesco invita a compiere un passo in avanti come si vede nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” dove esprime il desiderio di alimentare “una Chiesa povera per i poveri”.
Nella lettera scritta ai nuovi cardinali per il prossimo concistoro il Pontefice incoraggia a incarnare quelle tre attitudini con cui il poeta argentino Francisco Luis Bernárdez descriveva San Giovanni della Croce: “Occhi alti, mani unite, piedi nudi“. Occhi alti perché il servizio richiede di allungare lo sguardo e dilatare il cuore, per poter guardare più lontano e amare più universale intensità. Mani giunte perché ciò di cui la Chiesa ha più bisogno, insieme all’annuncio, è la preghiera per il bene del gregge di Cristo. Piedi nudi per comprendere la durezza della realtà di tanti angoli del mondo frastornati dal dolore e dalla sofferenza per la guerra, la discriminazione, la persecuzione, la fame e molte forme di povertà che richiedono compassione e misericordia.
Da sempre il magistero della Chiesa considera la povertà una privazione grave di beni materiali, sociali, culturali che minaccia la dignità della persona. I poveri sono coloro che soffrono di condizioni disumane per quanto riguarda il cibo, l’alloggio, l’accesso alle cure mediche, l’istruzione, il lavoro, le libertà fondamentali. Agli invisibili si rivolse Paolo VI in chiusura del Vaticano II: “Sappiate che non siete soli, né separati, né abbandonati, né inutili. Siete i chiamati da Cristo, la sua immagine vivente e trasparente”. La povertà, infatti, allontana dall’idolatria, dal sentirci autosufficienti. Il modello è Zaccheo che, dopo aver incrociato lo sguardo misericordioso di Gesù, ha donato la metà dei suoi averi ai poveri. L’avidità rende arido il cuore e l’imminente Giubileo si proprone appunto come opportunità di condivisione.