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Violenza contro le donne: un problema culturale ed educativo

E’ angosciante ogni volta apprendere dai tg di una donna uccisa in circostanze tragiche, per mano di loro familiari o di persone con cui hanno relazioni sentimentali. È angosciante specie quando si è a casa con i figli che ascoltano increduli e ai quali noi genitori, attoniti, non sappiamo dare risposte ma condividiamo le stesse domande: “Come si può arrivare a tali efferatezze, a tali atti disumani?

La Presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sul femminicidio, Valeria Valente, ha parlato della necessità di applicare in maniera rapida le misure preventive, auspicando la formazione di una magistratura che sappia valutare correttamente la violenza e il pericolo in cui la donna si trova, con l’ausilio anche dell’interscambio di informazioni tra processi penali e quelli civili di separazione che sovente camminano su binari paralleli.

L’attenzione su questo tema è altissima: Polizia di Stato, associazioni, centri anti-violenza, centri di aiuto alla vita, case di protezione svolgono ogni giorno un lavoro encomiabile, grazie al quale moltissime donne in Italia hanno trovato il “coraggio” di denunciare gli abusi subiti, recuperando la forza per andare avanti per il bene anche dei loro figli.

La grande mobilitazione intorno al fenomeno, insomma, vede impegnati da anni interi settori della società civile, tutti con l’intento di provare finalmente ad “invertire la rotta”. Ma questa rotta, purtroppo, sembra non cambiare.

Ci chiediamo allora: cosa possiamo fare? Intanto guardarci intorno. “Non possiamo più assistere a legami sentimentali malati” – afferma Emma Ciccarelli, vice presidente del Forum delle Associazioni familiari – “Abbiamo l’obbligo morale di intercettare queste situazioni e accompagnare le persone coinvolte in un percorso di consapevolezza e di crescita. Se ci sono segnali che fanno percepire un disagio importante, occorre intervenire prontamente”.

Urge, dunque, creare reti tra famiglie e associazioni, pronti a offrire sostegno, perché il silenzio e il voltarsi dall’altra parte sono responsabilità gravi. Urge diventare “comunità educante. Il problema, infatti, è culturale, educativo.

Per Daniela Notarfonso, medico, bioeticista, con una lunga esperienza consultoriale, “i fenomeni di violenza sulle donne hanno bisogno per essere prevenuti di educazione, tempo e rete sociale presente, ampia e consapevole”.

Occorre lavorare, specie con i ragazzi e i giovani, in un’ottica di alleanza tra mondo maschile e quello femminile che deve superare l’atteggiamento competitivo in favore di un percorso che rispetti le differenze e le valorizzi. Urgono programmi educativi che coinvolgano tutte le famiglie, le parrocchie, le agenzie educative, in una rete in cui l’arricchimento reciproco e la donazione tra uomo e donna siano i pilastri. Bisogna attuare percorsi di ascolto anche degli uomini alla ricerca della propria identità affinché siano aiutati ad interpretare la loro mascolinità non attraverso la sicurezza del potere posseduto che li rende incapaci di gestire la loro frustrazione rendendoli maschi violenti, ma attraverso la loro capacità di ascolto, accoglienza e donazione che finirà per arricchire la loro natura e non la indeboliranno. Urge, infine, aiutare i giovani, i fidanzati, le coppie, le famiglie a sviluppare, per usare parole care a Papa Francesco,uno stile di reciprocità: e qui siamo tutti coinvolti, in primis con la nostra testimonianza di vita.

Paola D’Alesio, Avvocato e vice presidente del Forum delle Associazioni Familiari Abruzzo

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