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Ecco come funzionano i vaccini anti Covid

In un momento di pandemia come quello attuale da Covid-19, il SSN (sistema sanitario nazionale), ritenuto fino ad oggi come il migliore in Europa, ha dimostrato tutti i suoi limiti. A cominciare dall’irreperibilità delle mascherine di protezione che, inizialmente, si asseriva servissero solo a non essere vettori d’infezione e non, come poi comprovato, presidio di protezione personale, all’ insufficienza dei posti in rianimazione in molte realtà non ancora risolta, fino alla carenza di adeguati DPI (dispositivi individuali di protezione) per il personale sanitario, con quasi 90mila operatori sanitari contagiati ad oggi e 274 medici deceduti.

I dati forniti dall’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), mostrano che ci sono stati circa 82milioni di casi di coronavirus nel mondo con circa un milione e 800mila decessi; in particolare in Italia due milioni di casi con quasi 73mila morti. Da qui la necessità di creare un vaccino, unico mezzo per sconfiggere l’attuale pandemia, che risponda ai criteri di efficienza e sicurezza.

Varie sono le case farmaceutiche che hanno già allestito preparati vaccinali così come varie sono state le metodiche nella loro preparazione come il virus inattivato scelto da Sinovac (Cina), la via dell’RNA da Pfizer e Moderna (Usa), gli adenovirus che trasportano antigeni da AstraZeneca (Uk), Sputnik (Russia), Cansino (Cina), Johnson & Johnson (Usa), la proteina Spike da Novavax (Usa) e Sanofi (Francia).

Il vaccino è una preparazione rivolta a indurre la produzione di anticorpi protettivi da parte dell’organismo nei confronti di una specifica malattia. Fino ad oggi, nella preparazione dei vaccini i preparati biologici in grado di evocare, se iniettati, una risposta anticorpale da parte dell’organismo, sono stati costituiti da microrganismi attenuati (morbillo, rosolia, parotite, varicella, febbre gialla e tubercolosi), o uccisi (epatite A, poliomielite), oppure con antigeni purificati (pertosse acellulare, antimeningococco), o ancora da anatossine (tetano e difterite) o a Dna ricombinante (epatite B e meningococco B).

Una volta ottenuto l’allestimento dei preparati vaccinali, diversi a seconda che contengano il microrganismo in una forma attenuata o completamente inattivata o che ne contengano solo alcune componenti, il preparato passa alla fase di sperimentazione preclinica in cui se ne osserva il comportamento, il livello di tossicità, la tolleranza, la risposta immunitaria e l’efficacia protettiva.

Segue la sperimentazione clinica che può durare sino a dieci anni e che si suddivide in quattro fasi: le prime tre (che coinvolgono un numero crescente di volontari) si svolgono prima della messa in commercio del vaccino, mentre la quarta è rappresentata dagli studi post-commercializzazione e coinvolge milioni di persone.

Verificati i risultati dei test in linea con gli standard richiesti, la relativa documentazione, come nel caso specifico, viene inviata e validata dall’EMA (European medicines agency) per la registrazione e la relativa autorizzazione alla commercializzazione.
Come ogni farmaco, i vaccini possono avere reazioni avverse che possono essere locali o sistemiche. Le locali come dolore, gonfiore o rossore nel sito di iniezione si presentano generalmente entro uno o due giorni dall’inoculazione; le sistemiche come febbre, malessere, dolori muscolari, cefalea, orticaria possono essere più fastidiose e non portano generalmente a coseguenze a lungo termine, rari i casi di anafilassi.

I vaccini Pfizer e Moderna, acquistati in Italia unitamente a quelli di AstraZeneca e Johnson & Johnson, sono dei vaccini nuovi così detti genetici (mRna) che rilasciano nelle cellule del ricevente uno o più geni del virus che si intende combattere. Mentre i vaccini nella loro forma più classica sono formati come sopra detto da virus o batteri inattivi o attenuati in grado di evocare una risposta immunitaria con la produzione di anticorpi, i genetici stimolano oltre a una risposta anticorpale, anche una cellulare.

La problematica di questi vaccini mRna, sollevata anche dalla Prof.ssa Maria Rita Gismondo Direttore di Microbiologia Clinica Virologia e diagnostica bioemergenze del polo universitario Sacco di Milano, consiste nel fatto che, al di là degli effetti avversi osservati peraltro trascurabili (dolore nel sito dell’iniezione da lieve a moderato e temporaneo, affaticamento e mal di testa), non sono al momento prevedibili eventuali coseguenze che potrebbero verificarsi in futuro, di quella che è a tutti gli effetti una vera e propria terapia genica.

I due vaccini risultano essere simili nell’efficacia (95%), differenziandosi invece nei costi (25 dollari Moderna – 16 Pfizer) per l’intervallo della somministrazione delle dosi ( 21 giorni Pfizer- un mese Moderna ) e per la conservazione (Pfizer -80°C, Moderna -20°C nel lungo periodo e 2°C, 8°C per un mese).

Diversi i vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson che si avvicinano di più ai vaccini “tradizionali” utilizzando la tecnica dei vettori virali, derivati da adenovirus, che trasportano antigeni evocando una risposta immunitaria da parte dell’organismo. In particolare i vantaggi dell’AstraZeneca sugli mRna sono relativi ai costi nettamente inferiori (2.80 euro), conservazione (2°C, 8°C) per almeno 6 mesi; gli svantaggi sono invece rappresentati da una minore efficacia (90%) con verifica solo negli under 55 per via della sperimentazione e attraverso la somministrazione di una prima mezza dose e un richiamo a dose completa.

Ci si trova oggi, con la preparazione dei vaccini attualmente disponibili, a fronteggiare la più grande vaccinazione di massa che la storia ricordi. E’ del tutto evidente pertanto che, in questa fase, organizzazione ed efficienza siano le parole d’ordine e che non è dato fare errori. Le prime tre vaccinazioni sono state effettuate allo Spallanzani di Roma nei giorni scorsi e entro la fine di gennaio in Italia, dovrebbe partire la campagna vaccinale che impiegherà risorse, personale sanitario, organizzazione logistica dei punti di raccolta e somministrazione.

In particolare, come da programma di Governo, saranno 3,4 milioni le dosi che inizialmente verranno somministrate a 1,7 milioni di operatori sanitari e sociosanitari, al personale ed ospiti delle Rsa, ad anziani over 80 e che dovrebbero arrivare entro il mese di gennaio. Nel primo trimestre 2021 infatti, la Pfizer e la Moderna, dovrebbero fornire all’Italia rispettivamente 8.749.000 di dosi la prima e 1.346.000 la seconda. Per quanto riguarda AstraZeneca sono inoltre previste 40 milioni di dosi con l’obiettivo di averne 16 milioni già a marzo, ma al momento i tempi sembrano potersi allungare. Infine per la Johnson & Johnson bisognerà probabilmente aspettare l’inizio della primavera con 53 milioni di dosi, di cui già 14 milioni attese per il secondo trimestre.

Relativamente alle regioni le prime che usufruiranno del piano vaccinale saranno Lazio e Lombardia, per terminare infine con la Valle d’Aosta. Nella somministrazione del vaccino saranno impiegati fino a tremila medici e dodicimila infermieri, distribuiti in una primissima fase in 300 presidi che diventeranno in seguito 1500, strategicamente disposti.
La logistica dello stoccaggio e distribuzione del materiale vaccinale è stata affidata all’esercito che ha individuatto nella base di Pratica di Mare la base operativa e che per le prime 3.4 milioni di dosi della Pfizer, previste per gennaio, ha disposto una catena del freddo apposita per la conservazione a -80°C.

Sarebbe forse opportuno delegare anche la logistica relativa alla somministrazione alle Forze Armate, uniche allo stato attuale, ad avere esperienza operativa in tal senso acquisita nelle varie missioni in zone di guerra, rischiando, in caso contrario, di trovarsi impreparati ad affrontare questa emergenza, cosi come già verificatosi per altre problematiche relative alla pandemia.

La somministrazione vaccinale sarà l’unica via che, a lungo termine, porterà a sconfiggere questa pandemia che tanta sofferenza ha causato in termini di morbilità e mortalità. Non bisogna illudersi però che l’immunità di gregge avverrà nel breve periodo e per una serie di ragioni, come la disponibilità del numero di dosi del vaccino, i tempi di distribuzione e di relativa acquisizione dell’immunità, una possibile terza ondata pandemica che rallenterebbe e non di poco l’attuazione di una simile vaccinazione di massa.

Per tutte queste ragioni sarà buona norma, fino a quando non si otterrà un adeguato numero di soggetti vaccinati intorno al 80%, avere comportamenti appropriati, rispettando il distanziamento, usando le mascherine ed evitando assembramenti, che sappiamo essere una delle principali cause di diffusione della malattia.

Rimangono in ogni modo delle perplessità e delle criticità relative al breve tempo di allestimento dei vaccini, l’ impossibilità di controllo di possibili effetti collaterali a lungo termine, lo spazio temporale relativo alla durata dell’immunità. Tutti questi quesiti ai quali allo stato attuale non è possibile dare risposta, hanno ingenerato in parte della popolazione una certa iniziale diffidenza nella disponibilità a vaccinarsi che speriamo, in tempi brevi, possa essere fugata da risultati certi in termini di sicurezza ed efficacia.

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