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I passi cruciali verso un’economia civile

Il rapporto tra lo Stato e il mercato è un tema di grande attualità nella riflessione economica recente, così come in passato. Nella teoria come nella pratica economica odierna, la Dottrina sociale si interessa del rapporto tra economia ed etica. Oggi si torna in realtà sempre più spesso a questi indirizzi della Dottrina sociale che appare in sintonia con la rinascita di un fecondo rapporto tra economia ed etica, caratteristico, del resto, della tradizione italiana dell’economia civile, e non più schiacciato tra una visione, quella oggi più diffusa, dell’agire egoistico, da una parte, e quella dello Stato pianificatore totalitario, dall’altra parte. L’economia civile, intesa come la sana capacità sociale della redistribuzione degli utili, sta nell’attivismo creativo e generativo dei soggetti, in termini di sussidiarietà sociale e istituzionale, per cui lo Stato ha solo un ruolo sussidiario.

In tale contesto, la democrazia è, anzitutto, con un termine moderno, partecipativa e, anticamente, esprimeva l’autogoverno e l’affermazione della responsabilità collettiva della città: la piazza (intesa come agorà), la cattedrale, il palazzo del governo, il palazzo dei mercanti e delle corporazioni di arti e mestieri (organizzazione del lavoro manifatturiero), il mercato (luogo delle contrattazioni e degli scambi), i palazzi dei ricchi borghesi, i conventi degli Ordini religiosi, dislocati per lo più ad anello dentro le mura, e, infine, le Chiese, dove avevano sede anche le Confraternite. Attraverso questi luoghi reali si coltivavano le virtù civiche, che definivano la società propriamente civile, le cui principali caratteristiche erano: la fiducia reciproca, la sussidiarietà, la solidarietà, la fraternità, il rispetto delle idee altrui, la competizione di tipo cooperativo.

La democrazia contiene in sé tutto ciò che riguarda la vita comunitaria, tant’è che la crisi della democrazia non riguarda solo le istituzioni. In questa fase, di fronte alle complessità della modernità, la politica si limita a reagire, ad eseguire, a fare quel che deve essere fatto, senza rischiare di fare altrimenti. La volontà di fare bene decisa con libertà del singolo si incontra con quella degli altri, costruendo una deliberazione morale, sociale, e politica, non più solo individuale, ma intersoggettiva, condivisa, una volontà del bene comune, che indichi la sostanza ai soggetti politici e alle istituzioni.

La crisi dimostra il fallimento dei modelli economici e sociali, che hanno dominato negli ultimi decenni, e prova che è ormai necessario riscrivere le regole della convivenza (affinché sia) civile. In particolare, le crisi finanziarie che, in diversi periodi della contemporaneità, hanno attanagliato il mondo intero, vanno ben oltre la dimensione economica; è una crisi del sistema, del pensiero, per cui è necessario fermarsi a ripensare i fondamenti del modello economico, politico, istituzionale e sociale, per comprendere il destino delle libertà. È il momento di fare del nuovo, di mettere in discussione il vecchio, per generare e non solo per essere generati. Sicché, la generatività sociale si propone quale alternativa che guarda oltre l’attuale crisi, la quale, oltre ad essere economica e sociale, è anche di tipo antropologico.

L’idea di sussidiarietà comporta la rivalutazione, in termini qualitativi e quantitativi, del senso dei diritti di libertà, nel quadro della definizione dell’autonomia, della responsabilità e della partecipazione della società al bene comune. È una via generativa quella che auspica la sussidiarietà, nel suo significato originario e originale, di fronte all’alternativa tra la sterilità dell’individualismo egoistico e l’omologazione del collettivismo egualitario. Ogni uomo e donna non sono gli autori, ma solo i mediatori, perché tutti siamo per primi bisognosi; nel senso che così come ogni essere umano è stato generato, allora può generare. La sussidiarietà si compone dell’autonomia e della responsabilità del singolo, o del gruppo, rispetto all’altro, o agli altri, in termini di generatività sociale, perché le sovrastrutture non schiaccino le azioni generative dell’essere umano.

Contrariamente al senso comune, la sussidiarietà non ha un fondamento solo morale, non è solo un dover essere; piuttosto essa si radica nell’antropologia specifica di un ordine sociale basato sulle relazioni umane e sul bene comune. I fondamenti della generatività sociale sono i principi di relazione e di liberazione reciproca, cardini anche della sussidiarietà, ai quali il pensiero unico della contemporaneità, purtroppo, contrappone l’idea di individui quali solo consumatori. Perciò, il nuovo umanesimo prende le distanze dalla misura stretta del rapporto costi-benefici, da una autoreferenzialità sterile al fine di sbilanciarsi verso gli altri in modo generativo. In un sistema di relazioni umane e generative, l’uomo, nel suo essere umano, si ritrova, perché in un mondo ossessionato dal bisogno di autoaffermazione dell’individuo, migliorare l’ambiente e favorire la dignità di tutti è la fonte autentica per ricomporre la comunità globale.

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