L’orsa è stata abbattuta. Da una parte i trionfalisti della sicurezza e della punizione dell’animale, responsabile di aver ferito un turista, francese, in escursione solitaria trovatosi a contatto con l’animale, i difensori della necessità di reagire con fermezza e determinazione di fronte alle insidie della natura, i senza se e senza ma, i “tolleranza zero”. Dall’altra animalisti ambientalisti naturalisti buonisti, sconfitti dall’arguzia delle autorità locali che hanno trovato il modo di aggirare la sospensiva emessa dal TAR locale contro la prima ordinanza di abbattimento: come? È stata annullata l’ordinanza sospesa ed è stato emesso un nuovo decreto (di analogo contenuto) ad efficacia immediata che la guardia forestale ha immediatamente eseguito.
In mezzo l’orsa, colpevole di vivere nel suo ambiente naturale, di avere tre cuccioli da proteggere, di non aver saputo spiegare al malcapitato avventuriero che lì c’era lei. Non è stata compresa, vittima anche lei di questa feconda incomprensione che sta distinguendo il nostro tempo. È la deriva di questa improvvida contrapposizione tra le ragioni di ciascuna parte.
Prese singolarmente, ognuna ha piena dignità e legittimazione: l’animale è pericoloso per l’uomo, è aggressivo, oggi è capitato al turista domani potrebbe capitare a chiunque in luoghi più frequentati, non si possono correre rischi alla sicurezza delle persone che devono poter vivere i luoghi naturali in tranquillità. E poi era la più anziana, aveva ventidue anni, stava terrorizzando la zona. Dall’altra parte, la difesa ad oltranza dei diritti degli animali, spesso preferiti all’uomo poiché non conoscono la cattiveria e se aggrediscono ne avranno avuto ragione, i moniti a lasciare intatta la natura.
Dovremmo imparare a comprenderci, nel senso letterale del termine, cioè a prenderci insieme, a dialogare, a fare in modo che anche una piccola parte dell’altro sia ricompresa dentro di noi in modo che anche noi possiamo essere ricompresi nell’altro ed allora non lo vedremmo più come altro da noi ma come parte di noi.
Da ragazzi, forse da bambini, tantissimi anni fa, ci insegnavano che spesso la virtù sta nel mezzo. Possibile che non ci sia stata una soluzione di pacifica convivenza, piuttosto che di messa in sicurezza senza arrivare all’estrema ragione di sopprimere un essere vivente, reo di essere quello che è? Eppure le associazioni e gli enti a difesa delle ragioni di ciascuna delle due parti si contano a bizzeffe; le autorità investite di poteri al riguardo sono innumerevoli. Dov’è il dialogo tra costoro? Che si sono detti per risolvere il problema?
Perché, se il giudice (e lo abbiamo per questo) ha sospeso l’esecuzione dell’abbattimento, si è cercata una soluzione per aggirarne l’ordine ed ottenere (si dice nottetempo) il risultato? Dov’è qui lo Stato? E se lo Stato si è fatto furbo per violare l’ordine (di questo si tratta) come possiamo pretendere che un privato non tenti di fare lo stesso quando è chiamato all’osservanza di un dovere. Era questo che volevamo? Osannare gli scaltri, i decisionisti, i vincenti?
Ma tutti noi abbiamo perso qualcosa di molto importante per il cammino a cui siamo inevitabilmente chiamati dalla vita: il dialogo tra noi. Mons. Paglia, l’eminentissimo consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio ha scritto che dobbiamo recuperare il Noi, condensando il pensiero diffuso in questi ultimi anni: troppo egoismo, troppa sicumera, troppa certezza di essere invincibili, troppi diritti male intesi e malissimo gestiti, abbiamo bisogno tutti di recuperare il dialogo, di rimettere al centro dei nostri comportamenti il buon senso, questo oramai illustre sconosciuto che ci ha accompagnato nel corso dei secoli e che dopo le violenze sanguinarie del secolo breve si era definitivamente annidato nel pensiero di tutti e che ora da lì viene sistematicamente e scientificamente scalfito per essere spodestato a vantaggio della ragione d’arme, del più forte, del più furbo, un tempo esecrato ed oggi osannato. Stiamo distruggendo il meglio di noi e sono in tanti ad averlo capito. Oggi la voce dell’ultima è quella dell’orsa, che ha perso la vita.