Martedì e mercoledì prossimi (24-25 aprile) si terrà a Bruxelles la Seconda Conferenza sul Supporto al Futuro della Siria; su iniziativa dell'Unione Europea (in particolare dell'Alto Rappresentante per la Politica Estera, Federica Mogherini) e delle Nazioni Unite essa coinvolgerà ben ottantacinque delegazioni internazionali.
Nell'intenzione degli organizzatori la Conferenza vuole raggiungere tre obiettivi:
· riaffermare il supporto internazionale ad una soluzione politica del conflitto siriano
· migliorare le condizioni per una risposta internazionale ai bisogni umanitari generati dalla crisi
· mantenere e rafforzare il flusso di aiuti umanitari in assistenza al popolo siriano.
La Conferenza è stata programmata diversi mesi fa, ma gli eventi di quest'ultima settimana hanno sostanzialmente cambiato il contesto nel quale la Conferenza stessa va a collocarsi; il che obbligherà gli organizzatori a ridefinire la strategia dell'evento, se vogliono giungere a un qualche risultato concreto.
Cosa è cambiato negli ultimi giorni, rispetto ai precedenti sette anni di guerra? Anzitutto abbiamo dovuto assistere (ancora una volta, purtroppo) ad una azione di “guerra sporca” specificatamente mirata contro i civili e finalizzata a ripristinare un clima di terrore nella popolazione: perché a questo è servito l'attacco chimico del 7 aprile scorso. In secondo luogo abbiamo registrato una risposta militare da parte di importanti Paesi occidentali; più precisamente i tre Paesi occidentali membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Si è trattato di una risposta più pesante rispetto a quella attivata lo scorso anno (più di 100 missili lanciati anziché 60), anche se non dirompente.
Infine, abbiamo avuto una serie di reazioni diplomatiche e istituzionali su molteplici livelli da parte dell'Occidente: dalle varie posizioni espresse dai singoli Governi, sino alle dichiarazioni delle Istituzioni europee. Ma, quali risultati hanno ottenuto le parti al termine di queste azioni?
Assad ha mostrato ai suoi concittadini che non ha nessuna intenzione di lasciare il potere e che per questo è disposto a passare molte linee rosse. L'Occidente ha mostrato a Russia e Iran che mantiene una capacità di risposta unitaria sia diplomatica che militare; non solo, che può anche operare globalmente a “geometria variabile”. Però, ciò che è rimasto sullo sfondo è ciò che a nostro avviso è più pericoloso: ossia il ruolo e le possibili reazioni di Israele e Iran. Perché ciò che per l'Occidente, la Russia o la Turchia può essere una delle tante “linee rosse” sulle quali costruire una politica di potenza o una politica di convivenza internazionale, per Iran e soprattutto per Israele può essere considerata “linea rossa vitale” (come ad esempio la presenza e la capacità di azione di Hezbollah sulle alture del Golan).
Queste considerazioni, come le molte altre che i vari analisti in questi giorni propongono ai lettori, possono essere senza dubbio utili a inquadrare il problema serissimo della crisi siriana; ma non ne colgono l'essenza, e non per difetto di analisi ma per difetto di “potenza”. Esse infatti non hanno la capacità – direi meglio la “potenza di verità”- di focalizzare la nostra riflessione, la nostra intenzione e – per chi può o ne ha il dovere – la nostra azione sul vero protagonista di questo quadro: il Popolo Siriano. È il Popolo Siriano che soffre, che muore e al quale da sette anni quotidianamente e in molti modi viene tolta la speranza. Questo è il focus vero della realtà siriana.
Se la prossima Conferenza di Bruxelles saprà dedicare il giusto spazio alla sofferenza di questo Popolo, pur in mezzo a tutti i legittimi aspetti geopolitici e diplomatici, allora potrà esserci un concreto passo in avanti. Non per nulla Paolo VI nel presentare la Prima giornata Mondiale della Pace (1 gennaio) volle dedicarla alla “verità”; perché è la verità che fa liberi.