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Le radici del lungo e buio inverno demografico

Si è svolta a Roma, presso l’Auditorium della Conciliazione, l’apertura degli Stati Generali della Natalità promossi dal Forum delle Associazioni familiari. Evento al quale hanno aderito rappresentanze del Governo, banche, imprese, cultura, media, spettacolo e sport.

Nel suo discorso inaugurale, Papa Francesco ha definito questo periodo storico come “un inverno demografico ancora freddo e buio” e ha rivolto il suo pensiero alle famiglie e in particolar modo alle donne: “Penso, con tristezza, alle donne che sul lavoro vengono scoraggiate ad avere figli o devono nascondere la pancia”. E ha proseguito: “Com’è possibile che una donna debba provare vergogna per il dono più bello che la vita può offrire? Non la donna, ma la società deve vergognarsi, perché una società che non accoglie la vita smette di vivere”.

Del resto, i dati ISTAT ribadiscono che al 1° gennaio 2021 in Italia i residenti ammontano a 59 milioni 258mila; 384mila in meno su base annua e che l’età media risulta in ulteriore rialzo, 46 anni, con un minimo di nascite e massimo di decessi “7 neonati e 13 decessi per mille abitanti”. Se si considera infatti che Il Tasso di fecondità, inteso come numero medio di bambini nato da ogni donna, dal 1946 ad oggi si è più che dimezzato passando dal 3.01 al 1.24, si comprende bene come in proiezione, senza inversione di rotta, “l’inverno demografico freddo e buio”, così come l’ha definito il Santo Padre, sia destinato ulteriormente a peggiorare.

E allora viene da chiedersi quali siano le cause che nel tempo, lentamente quanto inesorabilmente, abbiano portato il nostro Paese in questa situazione di preoccupante denatalità, se si pensa come al contrario, tra il 1946 e il 1964, si verificò il baby boom con un picco di 526.000 nascite in quell’anno.
Varie sono state le ragioni che hanno contribuito al raggiungimento di questo triste primato

Sicuramente una delle cause della non genitorialità è da attribuire all’infertilità che è aumentata negli ultimi anni per stili di vita, cause ambientali, farmacologiche, alimentari, sessuali. In Italia riguarda circa il 15% delle coppie, l’uomo, la donna o entrambi. Com’anche un’impossibilità specifica, per quella particolare coppia, di concepire la vita.

Indubbiamente nei decenni passati le motivazioni sono state anche di natura sociale, come il raggiungimento di uno “status symbol”, con conseguente maggior esborso economico familiare che poco spazio hanno lasciato alla natalità, pena una ghettizzazione sociale con preclusione di determinati ambienti. La rivoluzione intellettuale sessantottina ha portato poi a una rivoluzione di tipo culturale che è sfociata in una vera e propria ideologia. Basti pensare al movimento femminista dell’epoca dove vigeva lo slogan “il corpo è il mio e ne faccio quello che voglio”.

Due le maggiori “conquiste” dell’epoca: da un lato la pillola anticoncezionale, che In Italia fu autorizzata come contraccettivo soltanto nel 1976 , dall’altro l’aborto che per l’uso e l’abuso che se n’è fatto si è rivelato in seguito, forse, più che un successo una sconfitta, ma che senza ombra di dubbio, ha contribuito al raggiungimento di questo inverno demografico.

Da allora, inoltre, la ricerca si è messa di fatto a servizio di certe lobby ideologizzate contro la vita, con la creazione di pillole abortive sempre più sofisticate: RU486, Pillola del giorno e dei 5 giorni dopo, che rendessero sempre più semplice e nascosta, banalizzandola, l’interruzione della gravidanza (IVG). A quaranta anni dall’entrata in vigore della legge, in Italia sono stati eseguiti ufficialmente circa sei milioni di aborti. A questi vanno poi aggiunte le IVG “nascoste”, vale a dire quelle che si verificano in un 15% dei casi di assunzione dei contraccettivi d’emergenza. Basti pensare infatti che, nel solo 2018, ne sono state vendute 573.100 confezioni contro le 363.600 del 2012, con un incremento in sei anni di più del 58%.

A margine di queste considerazioni, appare quantomeno contraddittoria, in un contesto di denatalità dichiarata, l’attuale discussione del ddl Zan che, pur non volendo entrare nel merito della legge, di fatto, introduce nelle scuole l’insegnamento gender. Il quale, al di là di ogni considerazione di tipo ideologico, non contribuirà certamente alla cultura della natalità.

Ed allora cosa fare? Certamente agire dal lato sociale concretamente sul welfare familiare con incentivi economici mirati alla crescita demografica, così come anche sostenuto dal Presidente del Consiglio Mario Draghi che, nel corso del suo intervento agli Stati Generali della Natalità, ha affermato: “Un’Italia senza figli è un’Italia che non crede e non progetta. È un’Italia destinata lentamente a invecchiare e scomparire”. Assicurando poi, “un sostegno economico alle famiglie con figli cui è dedicato l’assegno unico universale”.

Agire poi sulla ricerca scientifica a che operi, con maggior impegno nella cura della sterilità di coppia, piuttosto che alla creazione di nuovi farmaci abortivi, in uno sforzo comune che miri al sostegno della crescita demografica com’anche ribadito recentemente dal presidente della Repubblica: “Le famiglie non sono il tessuto connettivo dell’Italia, le famiglie sono l’Italia ” (11 febbraio 2020).

L’auspicio è che si operi poi per il sostegno alla natalità non soltanto con misure economiche, ma anche con la possibilità da parte delle mamme di poter usufruire nei propri ambiti professionali di spazi adeguati dove poter provvedere all’allattamento o lasciare, così come già avviene in altri paesi, i propri bimbi in appositi nidi annessi ai luoghi di lavoro. Ricreare infine la cultura della vita e far capire che sì è importante la griffe, l’auto di maggior cilindrata, la vacanza esotica, ma lo è ancor di più la vita.

Far comprendere che l’aborto è comunque una sconfitta che non tiene minimamente in conto il diritto alla vita del feto, è una perdita per la madre che la segnerà comunque per tutta la vita, ed è un fallimento per la società che non ha saputo creare le condizioni favorevoli a che quella mamma fosse messa in grado di poter dare alla luce il proprio bimbo. E che si possa ancora tornare a quella massima magica pronunciata dai nostri vecchi e che sempre si avverava: “Dove a tavola c’è posto per tre ce n’è anche per quattro”.

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