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Dove porta il populismo

Si fa un gran discutere sulle decisioni e sulle intenzioni del governo, e taluni usano termini assai forti per mettere in guardia i cittadini sulle conseguenze di tali scelte. In verità, i motivi di preoccupazione ci sono ed anche tanti: la compatibilità di certe misure con il debito e andamento dell’economia, la pedagogia pessima di garantire aiuti comunque a chi non ha lavorato, il clima arroventato nel Paese e talvolta di caccia alle streghe. Ma a ben vedere, questi propositi e pratiche, sono presenti da più tempo; l’elemento di novità è rappresentato dalla grande approssimazione ed arroganza. Prendiamo il nodo della opposizione alla Tav. Da anni assistiamo alle azioni per ostacolare i lavori dei movimenti “No Tav”, spesso assecondati dai governi di sinistra, in presenza di un connubio stretto tra alcuni cittadini di territori interessati alle opere ed i Centri Sociali. Molti di coloro che ora si stracciano le vesti, non è parso che abbiano profuso in passato tanto impegno per spiegare l’importanza strategica di quelle infrastrutture. Eppure la Nazione italiana è fortemente interessata a sostenere la propria economia con le costruzioni come volano keynesiano, e sopratutto per agevolare la circolazione di persone e merci. Non c’è stata l’informazione adeguata e limpidezza di intenti da parte dei vecchi governanti. Ora ci ritroviamo “No Tav” più potenti, con la cecità localistica moltiplicata, con la mancanza di visione di modernità, con la medesima ostilità contro ogni opera in costruzione. Così si sono riorganizzati sotto le bandiere dei 5stelle, a combattere la loro battaglia per distruggere ogni possibilità di visione di insieme degli strumenti dello sviluppo comunitario.

Sulle materie del lavoro, la situazione è pressoché identica. Veniamo da un ventennio di grandi scontri tra riformisti e conservatori, ogni qualvolta si sono dovute adeguare le normative del lavoro alle esigenze poste dalla globalizzazione e dalle tecnologie digitali. Anche in questo campo i 5stelle sono diventati i restauratori delle vecchie modalità del lavoro in nome di una presunta giustizia sociale, inglobando nel proprio sistema tutti i vecchi oppositori. Con il provvedimento definitivamente passato al Senato, si torna indietro sulle condizioni di assunzione con i contratti a termine, si dà vita al reddito di cittadinanza scassando i sistemi di ammortizzazione sociale, favorendo l’idea malsana di ottenere sussidi pubblici anche senza lavorare. Cosicché, se nel passato, contro i sostenitori di provvedimenti concreti su infrastrutture e riforme del lavoro, puntualmente nelle fabbriche e nella società, si attivava la denigrazione e talvolta anche azioni violente, ora la denigrazione e la violenza è gestita a mezzo web attraverso i social, in una gestione sapiente di profili di identità camuffati. Quindi, mutatis mutandis, nulla di nuovo sotto il sole del Bel Paese; quello che muta in peggio, è la condizione economica dell’Italia, martoriata da demagogie e populismi di prima e seconda Repubblica. Molti sostengono che nella modernità è difficile combattere queste condizioni a causa di un sistema di informazione deresponsabilizzato, e di una opinione pubblica incline a soluzioni di ‘pancia’. Ma questo è vero solo in parte, a condizione che persone che hanno una opinione diversa, vogliano impegnarsi senza sosta e disinteressatamente, per spiegare tesi di verità, anche impopolari, pur di uscire dal pantano. In questi ultimi 4 lustri, a forza di scelte ‘popolari’ il Paese si sta impoverendo moralmente ed economicamente. 

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