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Culle vuote e risorse incerte. Eppure, “la famiglia non è il problema ma la soluzione”

Nell’anno della pandemia, il 2020, in Italia sono stati registrati 404mila nuovi nati e 746mila decessi. Per il 2021 la stima è che il numero di nascite crollerà ancora verso una forbice compresa tra 379 e 385mila. “La natalità deve diventare la nuova questione sociale. Il problema è che fino ad ora abbiamo continuato a ripetere sempre le stesse cose”. Così Gigi De Palo, presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari, tra gli ospiti del Family for the Future, il festival sulle politiche familiari organizzato dall’assessorato alla famiglia del Comune di Todi.

L’allarme rosso è senza dubbio il crollo demografico. “Dal 2013 al 2019, l’Italia ha perso 705mila residenti che salgono a 1,3 milioni se il conto comincia nel 2002. Dal 2013 – ha spiegato nella sua relazione il presidente dell’Istat, Giancarlo Blangiardo – ogni anno abbiamo toccato un nuovo record negativo di nascite”. E la pandemia non ha certo migliorato la situazione. “Nel 2020 c’è stato un picco di mortalità di portata bellica: la pandemia è stata la terza guerra mondiale. Da marzo dell’anno scorso ad aprile 2021 c’è stato lo stesso numero di morti rilevati tra civili e militari dal 10 giugno del 1940 all’8 settembre del 1943”.

Gli effetti del virus continueranno a farsi sentire: a dicembre 2020 sono nati il 15% in meno di bambini, risultato dell’effetto paura che ha seguito il picco di mortalità da Covid del marzo dello stesso anno. Sempre nel 2020, sono stati celebrati 96mila matrimoni rispetto ai 184mila dell’anno precedente. Considerando che due terzi dei primogeniti nascono all’interno del matrimonio, il conto è presto fatto.

“Si comincia a capire l’impatto economico del calo demografico”, spiega Vincenzo Bassi, presidente della Federazione delle associazioni familiari cattoliche in Europa. Ma avverte che è necessario cambiare il punto di vista e cominciare a considerare le risorse destinate alla famiglia non come un costo, ma come un investimento in “capitale umano”. “Dobbiamo parlare di giustizia fiscale e premialità e non di incentivi o bonus – dice Bassi – altrimenti, cambia il politico di turno e cambia la misura”.

Un cambio di paradigma che la rete dei Comuni amici della famiglia sta cercando di innescare. E Family for the Future ha voluto essere una vetrina di buone pratiche ed esempi virtuosi.

Il Comune di Todi ha ad esempio presentato il “piano strategico straordinario per la famiglia e la natalità” che si pone come “obiettivo di medio-lungo periodo – spiega l’assessore comunale alle politiche familiari, Alessia Marta – quello dell’aumento della natalità e la piena realizzazione dei progetti di vita delle famiglie, puntando anche ad un marketing territoriale che possa rendere il comune di Todi appetibile per le famiglie e le coppie che intendono diventarlo”. Todi cresce interviene su tre “leve”: fiscalità, servizi, qualità della vita. Con misure a sostegno di quelle famiglie che scelgono di trasferirsi in città e che riceveranno un contributo per il pagamento dell’affitto o del mutuo prima casa, ma anche con servizi più efficienti e meno costosi – dalla mensa scolastica alla tariffa sui rifiuti – fino alle attività commerciali a misura di famiglia.

A Perugia il 18 ottobre sarà inaugurato il family hub, costituito nell’ambito del progetto “Città famiglia – tutta mia la città”. “Un centro servizi per la famiglia che si muoverà lungo quattro macro aree. Abbiamo un front office – hanno spiegato Alessandro Moretti, presidente delle Acli provinciali, e Vincenzo e Sarah Aquino, referenti regionali dell’Associazione famiglie numerose – a cui ci si può rivolgere per assistenza fiscale o consulenze familiari”.

Le politiche familiari non sono politiche assistenziali”, ha detto la dottoressa Simonetta Saveri, dirigente dell’Agenzia per la famiglia di Genova, illustrando alcune iniziative del progetto “Genova insieme” come la rete dell’auto-mutuo aiuto. “Le politiche per la famiglia – ha insistito – toccano tutti i settori: l’economia, il sociale, la cultura. Dobbiamo finalmente liberarci da questa mentalità da assistenzialismo diffuso”.

Tra gli interventi promossi dal Comune di Foligno c’è ad esempio il bonus nuovi nati da mille euro a bimbo, lo “sconto sport” calibrato sul fattore famiglia (le tariffe scendono in base al numero di figli iscritti ad un corso) e un incremento – da 300 a 500 euro – del contributo mensile per le famiglie che si rendono disponibili all’affidamento familiare.

Cambiare dunque si può. E si deve. Intervenendo anche sul legame tra occupazione e natalità. “La discriminazione della donna sul lavoro – ha affermato Rosita Garzi, sociologa del lavoro dell’Università degli studi di Perugia. – comincia quando si discrimina un uomo dalla paternità”. Al centro del dibattito le normative che regolano i congedi familiari e che, attualmente, “concedono” ai lavoratori che diventano padri un massimo di dieci giorni di assenza dal lavoro a fronte dei cinque mesi di maternità della donna lavoratrice: “Dobbiamo passare da un concetto di conciliazione a uno di armonizzazione tra famiglia e lavoro”.

La famiglia non è il problema ma la soluzione”, dice ancora De Palo. “Ed ora con l’assegno unico universale abbiamo l’opportunità di fare un capolavoro, una riforma epocale” nonostante quello che il presidente del Forum definisce come un “chiacchiericcio di fondo”. “Si poteva fare di più e meglio? Certamente. Ma intanto siamo riusciti a compattare il Parlamento. Adesso è il momento di dire basta alla rassegnazione e al mosciume. Possiamo riuscire a convincere il Paese che c’è davvero una bellezza nel fare un figlio”.

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