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Come realizzare un vero pluralismo culturale

L’ordinamento giuridico repubblicano conferma la visione pedagogica, protettiva, assistenziale e statalista della cultura, propria del fascismo, caratterizzando così l’azione pubblica nel settore. La principale disposizione costituzionale in tal senso è l’art. 9, collocato tra i principi fondamentali, che attribuisce alla Repubblica la «promozione dello sviluppo della cultura». L’art. 9 Cost. prevede una vera e propria funzione promozionale della Repubblica nel settore della cultura. Il principio contenuto nell’art. 9 Cost. è quello dell’obbligo d’intervento dei pubblici poteri al fine di promuovere la cultura nel Paese, antitetico, quindi, ad uno Stato non interventista, Stato «solo» liberale. Nel senso che la Costituzione non si limita ad ammettere l’intervento pubblico nella cultura, ma ne impone l’esercizio.

La Repubblica intesa non solamente come lo Stato, ma anche ricomprendendo tutte le collettività locali è chiamata a promuovere la cultura per il bene del Paese, ma tale intervento non deve escludere quello del settore privato, né veicolare la cultura di Stato, ma semplicemente garantire l’uguaglianza di opportunità di accesso alla cultura e ad ogni sua espressione. Questa è la condizione necessaria perché l’art. 3, co. 2, Cost., il quale stabilisce che la Repubblica deve garantire l’uguaglianza sostanziale e non solo formale di tutti i cittadini, sia rispettato, perché si possa realizzare un vero e proprio pluralismo culturale e vi sia un’effettiva partecipazione dei cittadini alla vita politica e sociale della Repubblica. Con la conseguenza che i pubblici poteri sono chiamati ad intervenire per rimuovere gli ostacoli di carattere economico, sociale, politico, suscettibili di intralciarne lo sviluppo ex art. 3 Cost. Il presupposto è che la cultura è libera se non è condizionata, anche economicamente.

Il rischio è che la promozione della cultura, e in particolare l’azione pubblica di incentivazione finanziaria, possa tradursi, da un lato, in un veicolo per orientarla ideologicamente, dall’altro, in una limitazione della cultura non sovvenzionata, che subirebbe così gli effetti di una vera e propria concorrenza sleale, con un ritorno al passato allorché il sostegno economico veniva assicurato alle sole attività artistiche e scientifiche legate all’ideologia del potere politico al Governo. Pericolo contro il quale si rivela debole lo stesso principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., per la difficile azionabilità del principio stesso e per la mancanza o, comunque, scarsa efficacia, delle azioni giudiziarie previste nel nostro ordinamento. In tale contesto all’art. 9 della Costituzione si affiancano direttamente gli artt. 21, co. 1, e 33, co. 1, Cost. che contengono la garanzia costituzionale, il primo della libertà di manifestazione del pensiero e dello spettacolo, e il secondo la libertà dell’arte, e perciò, più in generale, della cultura, e indirettamente gli artt. 2 (persona e formazione sociale), 3 co. 2 (uguaglianza sostanziale), 4 (diritto al lavoro), 5 (autonomia locale), e 6 (tutela linguistica) Cost.

Un essenziale collegamento normativo è quello tra l’art. 9, che afferma la promozione dello sviluppo della cultura e l’art. 33, co. 1, Cost., che sancisce diritti positivi, in materia di cultura, componendo così una solida copertura costituzionale dell’azione pubblica. L’esercizio della funzione promozionale della Repubblica, in ambito culturale, ha il compito di tutelare la libertà dell’arte prevista dalla Costituzione. L’espressione artistica, quale diritto positivo, impone alla Stato un intervento ispirato ad una neutralità attiva, allo scopo di scongiurare il rischio che l’azione pubblica condizioni la libertà dell’arte. In tal senso, la Costituzione fornisce anche gli equilibri e i vincoli finalistici per evitare che le libertà culturali possano subire aggressioni. Quindi, la chiave per dedurre i principi e gli obiettivi cui deve ispirarsi l’azione di politica culturale sono nel combinato disposto degli art. 9, 21 e 33 della Costituzione.

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