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Certezze e speranze per affrontare la fatica del vivere

Nel difficile contesto attuale, di oggi, tanti intorno a noi hanno un immenso bisogno di sentire un messaggio di gioia e speranza per affrontare e vivere le difficoltà quotidiane.

Per sua natura l’essere umano ha bisogno certezze, come una pianta ha bisogno di sole e di acqua per potersi sviluppare. Non si può vivere infatti senza questa dimensione profonda, c’è bisogno di rinnovarsi non tanto a parole, ma soprattutto con incontri tra persone, con storie e testimonianze di vita. Incontri che fanno riemergere un desiderio di cambiamento, di ripresa di un cammino, per una bellezza possibile della vita.

Spesso fuggiamo dalle nostre sofferenze e non vogliamo guardarle in faccia, ognuno di noi rifiuta la sua debolezza, vogliamo apparire, abbiamo difficoltà ad accettarci così come siamo, fuggiamo la nostra vulnerabilità, la nostra immensa fragilità.

Nella fatica del vivere, del credere, dello sperare ci dobbiamo rapportare con una immagine semplice e disarmante come per esempio un fiammifero: “E’ tanto piccolo, eppure, se ci accorgiamo di averlo in tasca quando siamo al buio, ci sembra di toccare il cielo con un dito.

Sono i fiammiferi che danno fuoco e calore al mondo. Il nostro futuro sarà migliore quando le persone che fanno il loro dovere anche il più piccolo, con serietà e rispetto per l’altro, saranno testimonianza capace di fare luce nel labirinto di questa “malata” società.

Nel lavoro individuiamo la dignità dell’essere umano, perché il lavoro ha in sé un alto valore, ma se la società non produce beni che migliorano la vita delle persone è evidentemente malata e se il bene delle persone non contribuisce al bene di tutti siamo davanti a una esistenza parassita, che attinge al bene prodotto dalla società, ma non intende contribuire al bene degli altri.

Il rinnovarsi di una società più responsabile può diventare una opportunità dove cresca un’economia di tutti e per tutti, che non sia insensibile allo sguardo degli ultimi.

Vorrei riportare uno scritto di Don Sandro De Angeli (di Urbino) che dice: “Nel mondo non c’è fame solo di pane: dobbiamo imparare a condividere gli affetti, il tempo, le gioie, le sofferenze. Da qui nasce un impegno nuovo, quello del ‘farsi prossimo’ perché l’altro ‘mi interessa’. Non perché l’altro ha una vita come la mia, ma perché la vita dell’altro è la mia, mi appartiene, come la mia è, appartiene all’altro. Così ogni uomo e donna ritrova la verità del suo essere quando partecipa alla vita dell’altro: lasciarsi abitare dall’altro e, nel contempo, abitare la vita dell’altro”.

Abbiamo bisogno di un nuovo stile di vita e togliere la pratica disumanizzante del tempo come produttivo perché votato al profitto. Questo nuovo sguardo del tempo che abbiamo appreso in questi mesi di pandemia, in questa sosta che ci ha educato ad abitare con se stessi, facendo della pace con se stessi la base della costruzione di una società attenta ad ascoltare in profondità le esigenze di ognuno di noi, come elemento di trasformazione per una nuova umanità a favore di tutta la collettività.

 

 

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