Un vizio, si sa, è l’eccesso di un comportamento che viene considerato normale se contenuto in una misura adeguata ma che diventa riprovevole se supera il limite considerato accettabile dal contesto sociale di riferimento piuttosto che dalla particolare situazione concreta in cui si esprime.
È l’andare fuori misura che desta deplorazione, poiché un comportamento altrimenti sano e consentito cessa di essere tale quando si pone in maniera smodata.
Se, invero, la parsimonia è un oculato senso della misura nella gestione dei propri averi come delle proprie risorse, l’eccessivo e morboso attaccamento a tali beni determina l’avarizia, che è inclusa tra i peccati capitali. Perché? Che male fa chi eccede nella parsimonia? Perché l’avaro dimostra una scarsa considerazione degli equilibri fondamentali della vita.
Essere parsimonioso viene considerato un particolare pregio poiché dimostra assennatezza, oculatezza, capacità di non eccedere, senso della misura e spirito di rinuncia al superfluo; vi è addirittura un principio scientifico, teorizzato da Galileo, che caratterizza i processi naturali che vengono sviluppati con il minimo sforzo indispensabile, poiché lo spreco non è una legge di natura, essendo ogni bene ed ogni funzione tipicamente finalizzata ad un determinato risultato.
Il problema nasce quando l’attaccamento ai propri averi supera il normale senso della misura, quando per non intaccare le proprie sostanze si priva se stessi, od i propri cari, di beni che altrimenti sono utili, se non addirittura necessari: quando cioè la privazione di una risorsa viene negata per non intaccare il proprio patrimonio allora si manifesta il vizio dell’avarizia; abbiamo voluto dedicare questa condizione al personaggio rossiniano del Barbiere di Siviglia, definito da Figaro un vecchio indemoniato avaro, sospettoso, brontolone che pretende di sposare la sua pupilla per incrementare il suo patrimonio con l’eredità della fanciulla.
La storia finirà male per il vecchio poiché la giovane sposerà il Conte di Almaviva ma questi, forte delle sue ricchezze, rinuncerà alla dote soddisfacendo la cupidigia di don Bartolo; ma è la vita dell’avaro che genera riprovazione, come lamenta la serva Berta: si litiga, si piange, si minaccia, non v’è un’ora di pace con questo vecchio avaro e brontolone. In altra opera meno nota, Il Cavaliere avaro di Sergej V. Rachmaninov, il vizio viene espresso in maniera ancora più dura e cruda: se tutto il sangue, il pianto ed il sudore versati per quest’oro all’improvviso sgorgassero di nuovo, tornerebbe il diluvio e io stesso affogherei. Qui emerge un connotato del vizio che viene poco considerato: la sostanziale insensibilità dell’avaro nei confronti del prossimo e delle sue esigenze e forse anche delle proprie. Ecco il vizio, il peccato: restare muti ed indifferenti nei confronti del grido altrui che l’avaro ignora, non ascolta, rifiuta. Don Bartolo rifugge dalle esigenze della giovine pupilla, il Barone nega i suoi averi al figlio.
Eppure le porte del Regno di Dio si aprono a colui che abbia misericordia con il compimento delle opere richieste (Mt, 25, 34-36) e come può l’avaro compiere un’opera di misericordia? Ecco il suo peccato, figlio del vizio da cui è affetta la sua mente: ricordiamo san Francesco, nato ricco figlio di possidenti che rinunciò ai suoi averi per seguire le tracce di Cristo ed è assurto alla gloria del mondo.
L’avaro rimane avviluppato in un suo insaziabile desiderio di non separarsi dai suoi averi, trasformandone il valore di mezzo per il soddisfacimento di bisogni in oggetto di adorazione, di possesso indemoniato, addirittura vanificando il senso del bisogno e negandone l’esigenza, in una sostanziale sordità di animo che gli rende la vita cupa.
Sarebbe troppo invitare l’avaro a seguire le orme di Cristo lasciando i suoi averi ed abbracciando la sua croce, ma un buon suggerimento può essere quello di cominciare a considerare la fugacità della vita terrena: il Cavaliere avaro intuisce che lui scenderà qui, dopo la mia morte, … e i miei tesori andranno in mani altrui. Che delusione per chi ha vissuto una vita grama soffocato dall’avarizia!*–