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I 30 anni della “Lettera ai bambini”. La tenerezza del Magistero

Tre decenni fa, in occasione dell’Anno della Famiglia, San Giovanni Paolo II scrisse una memorabile Lettera ai bambini. “E’ alla vostra preghiera, cari piccoli amici, che desidero affidare i problemi della vostra e di tutte le famiglie del mondo- raccomandò all’infanzia Karol Wojtyla-. E non soltanto questo. Ho ancora altre intenzioni da raccomandarvi. Il Papa conta molto sulle vostre preghiere. Dobbiamo pregare insieme e molto, affinché l’umanità, formata da diversi miliardi di esseri umani, diventi sempre più la famiglia di Dio, e possa vivere nella pace. Ho ricordato all’inizio le indicibili sofferenze che tanti bambini hanno sperimentato in questo secolo, e quelle che molti di loro continuano a subire anche in questo momento”.

E aggiunse: “Quanti cadono vittime dell’odio che imperversa in diverse regioni della terra: nei Balcani, ad esempio, ed in alcuni paesi dell’Africa. Proprio meditando su questi fatti, che colmano di dolore i nostri cuori, ho deciso di chiedere a voi, cari bambini e ragazzi, di farvi carico della preghiera per la pace. Lo sapete bene: l’amore e la concordia costruiscono la pace, l’odio e la violenza la distruggono. Voi rifuggite istintivamente dall’odio e siete attratti dall’amore: per questo il Papa è certo che non respingerete la sua richiesta, ma vi unirete alla sua preghiera per la pace nel mondo con lo stesso slancio con cui pregate per la pace e la concordia nelle vostre famiglie”. E poiché l’uomo deve lodare Dio prima di tutto con la vita, “non dimenticatevi di ciò che Gesù dodicenne disse a sua Madre e a Giuseppe nel Tempio di Gerusalemme: ‘Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?’ (Lc 2, 49). L’uomo loda Dio seguendo la voce della propria vocazione. Dio chiama ogni uomo e la sua voce si fa sentire già nell’anima del bambino: chiama a vivere nel matrimonio oppure ad essere sacerdote; chiama alla vita consacrata o forse al lavoro nelle missioni… Chi sa? Pregate, cari ragazzi e ragazze, per scoprire qual è la vostra vocazione, per poi seguirla generosamente”.

La lettera si chiudeva con una invocazione: “Alza la tua manina, divino Bambino, e benedici questi tuoi piccoli amici, benedici i bambini di tutta la terra!”. Parole e tenerezza da parroco, da pastore. Del resto fin dal momento della sua elezione al Soglio di Pietro, Giovanni Paolo II si presento e si considerò soprattutto il vescovo di Roma. Per questo in ventisette anni di pontificato ha visitato 317 delle 333 parrocchie della città eterna. Un’attività apostolica instancabile da globetrotter alla quale affianco i suoi viaggi in Italia e nel mondo. Un pellegrinaggio dettagliatissimo che volle iniziare da San Francesco Saverio nel popolare quartiere Garbatella, la chiesa che nel dopoguerra frequentava da studente di teologia inviato a Roma dall’arcivescovo di Cracovia, Adam Sapieha, per completare il percorso di formazione.

La mappa romana del primo pontefice non italiano da cinque secoli includeva gli incontri in Vaticano con le comunità parrocchiali, le visite alle chiese di borgata, le celebrazioni nelle basiliche pontificie come la processione del Corpus Domini da lui ripristinata a San Giovanni in Laterano e i fuori programma di relax come la colazione o il gelato in qualche bar accanto alla parrocchia. “Le visite a Roma sono state una componente essenziale della sua attività pastorale, segno chiaro dell’affetto e della premura con cui ha guidato la diocesi della quale e stato vescovo – spiega Angelo Zema, direttore di RomaSette, il giornale del Vicariato –. Un magistero itinerante che si integro con le missioni apostoliche in giro per il mondo e che lo porto in tutti i quartieri romani: dal 3 dicembre 1978, data del primo incontro con una comunità alla Garbatella, fino all’ultima visita, alla parrocchia di Sant’Enrico, il 17 febbraio 2002.

Attraverso le visite si e impegnato con determinazione per dare alla Chiesa e alla città di Roma la coscienza del loro ruolo nel mondo. Un pastore e non un sovrano, quindi. Un vescovo e non un Papa-re, come lasciava già presagire l’esordio sul Soglio petrino. Giovanni Paolo II volle parlare subito alla folla in piazza san Pietro. Si presentò come “vescovo di Roma”, come pastore, non come Papa, non come capo di uno Stato, non come monarca. Con lo spirito del presule in pellegrinaggio, Giovanni Paolo II non trascuro nessuna porzione del territorio a lui assegnato. In uno di questi mini-viaggi un bambino sfuggì al cordone di vigilanza dei gendarmi vaticani e arrivo dal Papa che gli domando il nome e se fosse in parrocchia da solo. “Santo Padre, sa come sono le donne: mia madre si stava ancora preparando e sono venuto qui a portare un regalo”. Apri la mano e c’era una caramella. Karol Wojtyla la prese e la avvicino al cuore dicendo: “Non me la merito”. Quella frase la ripeterà poi centinaia di volte in occasioni pubbliche e persino in discorsi ufficiali davanti a delegazioni di vescovi.

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