Roma, autunno 1943. Il sole non è ancora sorto quando i soldati tedeschi delle SS invadono il ghetto ebraico: 1024 persone vengono rastrellate. Tra loro oltre duecento bambini. I prigionieri vengono rinchiusi nel Collegio Militare di Palazzo Salviati, in via della Lungara, sul lungotevere, poco distante dal luogo del blitz. L'ordine arriva direttamente dall'ufficio del tenente colonnello Herbert Kappler, capo delle SS a Roma, sito in Via Tasso, nei pressi del Laterano.
I civici 145-155, a seguito dell'occupazione di Roma, vengono trasformati da uffici culturali dell'ambasciata tedesca a Comando delle SS. Alcuni locali vengono adibiti a celle; le finestre vengono murate. In stanze più piccoli si ricavano celle di isolamento.
Chi viene rinchiuso qui dentro è destinato al carcere di Regina Coeli, o al Tribunale di guerra (con condanne al carcere in Germania o alla fucilazione a Forte Bravetta), o alla deportazione. Sono circa duemila, tra uomini e donne, cittadini comuni, militari e partigiani, le persone che nel corso degli anni dell'occupazione nazifascista vengono detenuti nelle buie celle di Via Tasso.
Il 25 settembre del 1943, Kappler riceve un ordine da Berlino: procedere al rastrellamento del ghetto di Roma. Un ordine che il capitano delle SS stenta a eseguire. Si consulta con il console tedesco, Eitel Friedrich Moellhausen. Entrambi temomo una reazione militare da parte dei carabinieri italiani qualora si procedesse al rastrellamento. I due si rivolgono, all'indomani dell'ordine, ad Albert Kesserling, comandante delle truppe tedesche nel Sud Italia, che non concede immediatamente l'appoggio militare all'operazione.
Quella sera Kappler convoca i massimi rappresentanti della comunità ebraica di Roma: Ugo Foà, Presidente della Comunità Israelitica, e Dante Almansi, Presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane. I due vengono ricattati: cinquanta chili d'oro in cambio della salvezza. Gli eberei accettano. La consegna dell'oro avviene a Via Tasso, oggi sede del Museo Storico della Liberazione.
Ma Kappler non si presenta. Al suo posto c'è un ufficiale di grado inferiore, il capitano Kurt Schutz. La pesatura viene eseguita con una bilancia della portata di 5 chili. Ogni pesata viene registrata contemporaneamente da Almansi e da un ufficiale tedesco, che si trovano alle due estremità del tavolo. I chili sono 50. L'intera comunità ebraica non è al corrente dell'accordo; ne viene a conoscenza solo a scambio eseguito.
Ma da Berlino l'ordine non muta. Nei primi giorni d'ottobre il governo tedesco invia a Roma il Capitano delle SS Theo Dannecker per procedere alla deportazione e velocizzare i tempi. Dannecker è l'uomo di fiducia di Eichmann, il gerarca che aveva dato il via ai rastrellamenti di Parigi. Il 16 ottobre del 1943, ha inizio la retata.
La piazza antistante il Portico d'Ottavia, nel cuore del ghetto, ricorda l'evento con diverse targhe. Lo spiazzo porta il nome del “sabato nero”, così come è stato ribatezzato il 16 ottobre del 1943.
Sotto una grande bifora, altre due lapidi: la più grande, posta nel 1964, ricorda i tristi fatti di quel giorno. L'altra, del 2001, ricorda i bambini che “non cominciarono neppure a vivere”.
A pochi passi dal Portico, la Sinagoga. Sulla facciata del tempio, un'altra lapide, in versi, ricorda la deportazione degli ebrei romani e il genocidio perpetrato dai nazisti.
Risalendo il lungotevere, si arriva a Via della Lungara. Su una parete di Palazzo Salviati, una targa ricorda gli oltre mille ebrei rastrellati. Nel Collegio Militare restano per due giorni, fino al 18 ottobre.
Da qui vengono portati alla stazione ferroviaria di Tiburtina. Ad attenderli, al binario 1, un treno di diciotto vagoni piombati. Destinazione: Polonia.
Dopo sei giorni arriveranno al campo di concentramento di Auschwitz.
Solo quindici uomini e una donna ritorneranno a casa. Oggi, sul binario 1, una lapide ricorda quella tragica partenza.
“Meditate che questo è stato”, recita un verso di una famosa poesia di Primo Levi. Un monito che l'artista tedesco Gunter Demnig è riuscito a trasformare in piccole opere d'arte. Dal 1995 installa delle placche di ottone della dimensione di un sampietrino. Ribattezzate “Pietre d'inciampo”, sono collocate davanti alle abitazioni in cui vivevano i caduti del nazifascismo. Ad oggi, in tutta Europa, ne esistono 50.000.