ARoma un manifesto che ritrae un embrione o un pancione viene rimosso, mentre sembra non creare alcun cruccio alla Giunta capitolina un altro che ritrae due persone dello stesso sesso che si baciano appassionatamente, come quello che pubblicizza il Gay Village. Il due pesi e due misure ha turbato molti genitori, i quali ritengono inopportuno che una pubblicità obblighi i loro figli, magari in tenera età, a guardare certe immagini affisse sui cartelloni, sui palazzi e sugli autobus della Capitale.
Genitori insorti
Ne è nata una vera e propria azione collettiva, di cui è promotrice Giusy D’Amico, presidente di “Non si tocca la famiglia”. Intervistata da In Terris, spiega di aver ricevuto da altri genitori numerosi messaggi con le immagini dei manifesti in questione e con la richiesta di mobilitarsi. “In tanti mi hanno fatto presente che certi temi sono molto delicati – afferma – e che quindi, giustamente, preferiscono parlarne a casa quando loro lo reputano più adeguato, senza che sia una pubblicità a imporre il tema suscitando la curiosità dei piccoli”. E ancora: “Nessuno contesta i contenuti e gli obiettivi del Gay Village, però riteniamo che si possa pubblicizzare l’evento senza diffondere immagini così esplicite”.
La petizione
La D’Amico ha così accettato di farsi carico della protesta montante, raccogliendo firme per chiedere la rimozione: nell’arco di una giornata, solo attraverso il tam tam sui social network, sono diventate un’ottantina e il giorno dopo erano già circa cinquecento. Vista la mole di adesioni, la D’Amico ha chiesto la collaborazione di CitizenGo, associazione esperta in petizioni e sensibile a queste tematiche. Il 7 giugno scorso le firme sono state consegnate all’ufficio protocollo di Roma Capitale, mentre sul sito di CitizenGo prosegue la raccolta che ha portato finora le adesioni quasi a quota duemila e cinquecento. Dal giorno della consegna, tuttavia, non si è più udito alcun segnale. “I tanti genitori che hanno firmato mi chiedono cosa accadrà – spiega la D’Amico -. Non lo sappiamo ancora, perché dal Campidoglio tutto tace”.
Segnali dal Senato…
C’è però chi a livello istituzionale intende rompere il silenzio. Il dissenso è arrivato a Palazzo Madama. Il senatore Simone Pillon, leghista e tra gli animatori del Family Day, ha scritto su Facebook, a proposito della rimozione dei manifesti contro l’aborto e della diffusione di questi ultimi sul Gay Village. “Prendiamo atto che qualcuno crede di potere selezionare i manifesti pubblici sulla base della propria ideologia. Ciò sarebbe leggermente in contrasto con l'art. 21 della Costituzione”, tuona. E poi aggiunge: “Seguiteci, nei prossimi giorni approfondiremo la questione sul piano istituzionale”.
…e dal Consiglio comunale
Chi promette di non lasciare che la vicenda cada nell’oblio è anche Maurizio Politi, consigliere in Campidoglio di Fratelli d’Italia. Quest’ultimo spiega ad In Terris: “Da una parte la Giunta Raggi censura le associazioni pro-famiglia e pro-vita, dall’altra dà ampio spazio ad associazioni lgbt senza chiedere a queste realtà di prendere le distanze dalla pratica disumana dell’utero in affitto”. Politi racconta che il 17 maggio scorso in Campidoglio è stata approvata – con il solo voto contrario dei consiglieri di Fratelli d’Italia – una mozione che impegna Roma Capitale a promuovere azioni di sensibilizzazione nelle scuole sul tema della omotransfobia. “In quell’occasione – spiega Politi – si è parlato esplicitamente di famiglie arcobaleno, di omogenitorialità”, nonostante la stepchild adoption non sia stata approvata nella legge sulle unioni civili. Il caso dei manifesti e degli eventi di un certo mondo lgbt non è chiuso. Il 14 luglio ad Ostia è previsto un nuovo Gay Pride, nell’attesa Fratelli d’Italia si prepara all’opposizione culturale. “In vista di questa nuova pittoresca iniziativa sul litorale – spiega Politi – a fine mese presenteremo una mozione per chiedere agli organizzatori e all’amministrazione capitolina di dissociarsi dalla pratica dell’utero in affitto, vero abominio del ventunesimo secolo”.