“Per la prima volta abbiamo istituito un albo per le comunità, strutture che siano in grado di dare accoglienza ai detenuti che non hanno un domicilio. Oggi, secondo le stime che abbiamo fatto, ci sono 7mila detenuti che potrebbero usufruirne ed alleggerire il peso sulle carceri”. A parlare è Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia, intervenuto al convegno “L’uomo non è il suo errore. Percorsi di rinascita”, organizzato dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna a corredo della mostra “Dall’amore nessuno fugge” allestita a Bologna. “L’albo sarà disposizione della magistratura – ha continuato Ostellari – ed indica le strutture che devono garantire alla Stato e alle persone detenute un percorso rieducativo, quel percorso di amore che è fondamentale in una persona”.
L’intervento del sottosegretario Ostellari
Il riferimento è alla novità introdotta nel decreto carceri e che troverà spazio nei prossimi decreti attuativi che saranno adottati dal Governo. “Siamo arrivati al governo nel 2022 che è stato l’anno record dei suicidi in carcere. Fare sconti sulle pene, fare indulti è prendere in giro i detenuti perché sappiamo che la maggior parte dei carcerati tornano in carcere e quando vi rientrano hanno l’aggravante della recidiva. I dati dicono che il 70% delle presone che escono dall’esecuzione penale poi tornano a delinquere, quindi rientrano in carcere con un titolo di reato aggravato per forza di cose dalla recidiva. In questo modo si fa del male al detenuto stesso. I detenuti non hanno bisogno di illusioni ma di realtà e verità. Per questo abbiamo adottato misure per favorire la dignità della pena e la rieducazione del detenuto. Ed è solo grazie alla disponibilità di strutture come quella della Papa Giovanni allora ci sarà la possibilità di dare una possibilità di riscatto alle persone detenute” ha concluso il sottosegretario.
Gli interventi al convegno
Al convegno, oltre al sottosegretario Ostellari, sono intervenuti Emma Petitti, presidente dell’Assemblea, Debora Serracchiani, componente della commissione Giustizia della Camera, Federico Amico, presidente commissione Parità, Roberto Cavalieri, garante dei detenuti dell’Emilia-Romagna, Giulia Segatta, magistrata di sorveglianza a Trento, Giorgio Pieri e Matteo Fadda della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Contrari alla cultura dello scarto
“Siamo contrari alla cultura dello scarto, – ha dichiarato Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII – vogliamo potenziare il modello della casa comunità perché abbiamo visto che funziona. Fra i nostri obiettivi c’è quello di ricostruire relazioni sociali per le persone accolte perché noi vediamo la persona come soggetto da recuperare e non per il danno che hanno fatto”. L’associazione di don Benzi gestisce 10 Comunità educanti con i carcerati (Cec), strutture per l’accoglienza di carcerati che scontano la pena, dove i detenuti sono rieducati attraverso esperienze di servizio ai più deboli nelle cooperative dell’associazione. La prima casa è stata aperta nel 2004. Ad oggi sono presenti 280 tra detenuti ed ex detenuti. Negli ultimi 10 anni sono state accolte 4mila persone. Le Comunità educanti con i carcerati (Cec) hanno un tasso di ricaduta nel reato pari al 12% a fronte del 70% di chi vive la detenzione tradizionale.
Educazione e lavoro per la rieducazione
Giorgio Pieri, coordinatore delle Comunità educanti con i carcerati (Cec), è entrato nello specifico. “Nelle nostre comunità cerchiamo di realizzare quanto enunciato nell’art. 27 della Costituzione. Ma per la rieducazione il lavoro da solo non basta ma deve essere inserito in un contesto educativo. La comunità è questo contesto educativo perché è il luogo della relazione che guarisce. Non lo diciamo a parole ma lo facciamo sperimentare ai recuperandi, coloro che stanno espiando la pena. Le nostre comunità sono luoghi di espiazione della pena alternativi al carcere che offrono percorsi educativi personalizzati da svolgere in un circuito comunitario protetto, garantendo sicurezza ai cittadini, rispetto alle vittime, riscatto al reo. E’ importante avere un riconoscimento istituzionale e amministrativo, dato che lo Stato ancora non le finanzia”.