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Yemen, l’incubo continua: i separatisti rompono la tregua

Le forze in contrasto con i lealisti di Hadi proclamano un autogoverno nel Sud, accusando i rivali di cospirare contro i termini dell'intesa. E la crisi umanitaria non si ferma

Non si è mai fermata l’emergenza umanitaria nello Yemen. Nemmeno l’onda violenta del coronavirus ha fermato il conflitto in un Paese che, già prima della pandemia, rappresentava una delle urgenze più impellenti per la Comunità internazionale. Come la Siria, lo Yemen vive una guerra che appare interminabile e, come accade poco più a nord, oltre il deserto saudita, è la popolazione civile a pagare lo scotto.

Dalla Siria c’è chi fugge, dallo Yemen ormai non è nemmeno possibile farlo. Il popolo yemenita vive stretto fra il conflitto e la crisi umanitaria, tra il fuoco di separatisti e forze lealiste e la mancanza dei beni essenziali per poter andare avanti. Uno scenario che, dopo la decisione delle forze ribelli di dichiarare l’autogoverno nel sud del Paese, rompendo l’accordo di pace, rischia di aggravare ulteriormente.

La rottura

E’ durata l’arco di qualche mese la timida stretta di mano che aveva sancito un periodo di tregua per la Nazione, stravolta dal conflitto civile. Stipulata a novembre, con la speranza che la mediazione di Riyad servisse a placare le ostilità fra gli Huthi (che controllano la capitale San’a) e i lealisti di Hadi (che stazionano nella zona di Aden), sostenuti rispettivamente dall’Iran e dall’Arabia Saudita.

L’accusa, lanciata dai separatisti, di “copsirare” contro la causa meridionale e di non aver rispettato gli impegni portati dall’intesa stipulata cinque mesi fa, ha portato alla rottura dell’accordo e alla rivendicazione del controllo esclusivo di Aden.

Situazione grave

Le forze lealisti hanno già fatto sapere che la dichiarazione di autogoverno avrà “conseguenze catastrofiche” sull’accordo di pace, ormai già andato in archivio, nonostante le speranze che vi erano state riposte. Un’autoproclamazione valida a partire dalla mezzanotte del 25 aprile e, probabilmente, portatrice di ulteriori sofferenze per un popolo già duramente provato da una guerra endogena che va avanti ormai dal 2015 e che, fra le altre cose, ha visto l’interferenza di gruppi fondamentalisti come al-Qaeda e al-Shar’ia.

In virtù dell’emergenza coronavirus il governo aveva tentato di ottenere un provvisorio cessate il fuoco che, però, non aveva riscosso il consenso degli Huthi. Il che, di fatto, aveva lasciato campo libero alle vicendevoli offensive. Col rischio che queste si aggravino ora che, dal banco, è saltata anche la fragile intesa di novembre.

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