L’orologio virtuale della storia del cosmo batte le sue ultime ore. Niente di quanto abbiamo intorno sopravvivrà all’inevitabile fine: stelle, pianeti, quasar e pulsar, galassie e nebulose, persino i misteriosi buchi neri e i fenomeni fisici sinora solo immaginati, come i warmhole. L’universo sta morendo, anzi, si sta lentamente e progressivamente spegnendo. Lo dimostrerebbe uno studio realizzato con tecnologie innovative dal team di Simon Driver dell’Università dell’Australia Occidentale e presentato in occasione dell’ultima assemblea dell’Unione Astronomica Internazionale, andata in scena a Honoulu, Hawai.
Si tratta del progetto Gama (Galaxy and Mass Assembly Survey) che ha messo insieme un’enorme quantità di dati raccolti negli anni da telescopi spaziali e basati a Terra. E ha dimostrato, analizzando la luce di un campione di oltre 200 mila galassie, che l’energia prodotta oggi dal cosmo è circa la metà di quella emessa 2 miliardi di anni fa. In realtà il fatto che l’universo stia lentamente scomparendo è noto fin dalla fine degli anni ’90 ma il nuovo lavoro mostra come questo stia accadendo attraverso tutte le lunghezze d’onda della luce, dall’ultravioletta all’infrarosso. Con un’azzeccata metafora Driver ha descritto quanto esiste attorno a noi come un anziano signore sdraiato sul sofà con la coperta e in attesa della fine.
Secondo Massimo Della Valle, direttore dell’Osservatorio di Capodimonte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), la ricerca del team australiano è frutto di uno “sforzo ciclopico” in quanto ha comportato la misurazione dell’energia emessa negli “ultimi 2 miliardi di anni da un campione di 200 mila galassie” contenute in una sola sezione del Creato. Un grande risultato ottenuto combinando i dati forniti da telescopi spaziali come Herschel dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), Wise della Nasa e quelli dell’Osservatorio Europeo Meridionale (Eso), sulle Ande cilene. In questo modo, ha aggiunto, “i ricercatori sono riusciti a misurare il tasso di diminuzione della densità di radiazione su un ampio spettro; in pratica una conferma che l’universo si sta spegnendo e in quale modo”.
Resta da capire come avverrà il decesso. Su questo i fisici continuano a essere divisi non conoscendo ancora molte delle leggi che ci governano. Le teorie più inflazionate sono due. La prima, quella del “Big Freeze” (“Grande Freddo”), sostiene che il cosmo generato dal Big Bang continuerà a espandersi all’infinito fino a quando tutta l’energia prodotta all’inizio del tempi sarà finita, trasformando tutto in un’immensa landa nera e congelata. La seconda, quella del “Big Crunch” immagina lo spazio come una sorta di elastico che, dopo essere arrivato al punto massimo di tensione, tornerà nel luogo esatto in cui tutto è cominciato. La forza di gravità mano a mano farà riaggregare la materia in un unico punto infinitamente piccolo e denso. Simile ma più estrema della teoria del Big Freeze è quella del Big Rip (“Grande strappo”) secondo cui l’espansione infinita determinerà un ritorno allo stato particellare del Creato. In pratica, cessate di funzionare le forze che tengono uniti i corpi celesti, ne deriverà una disgregazione in pezzi sempre più piccoli. I sostenitori del Big Rip sostengono che alla fine dei tempi nello spazio ci saranno solo fotoni, leptoni e, forse, protoni. Non manca poi chi immagina un multiverso, cioè l’esistenza di più universi. Ma qui siamo già passati al campo dell’ipotesi suggestiva non ancora scientificamente dimostrabile.