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La Resistenza dei Fratelli Cervi, contadini ed eroi

Ottant'anni fa, la fucilazione dei sette fratelli Cervi. Una vicenda familiare che, grazie alla testimonianza del padre, Alcide, è diventata un simbolo della Resistenza

Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore. Tre di loro con la lettera A come iniziale, come il padre Alcide, che avrebbe raccontato la loro storia. Sette i fratelli Cervi, accomunati dalle origini, dall’educazione cattolica ricevuta e, infine, da un destino che ne farà dei martiri, trucidati tutti insieme dalle pallottole dei repubblichini di Salò dopo aver sposato la causa della Resistenza. Era il 28 dicembre 1943, giusto ottant’anni fa.

Nati contadini, morti partigiani, quella dei fratelli Cervi è diventata, già nell’immediatezza degli avvenimenti, una delle storie simbolo del periodo della resistenza italiana contro il nazifascismo. Sia per il tragico epilogo, che non risparmiò nessuno dei sette figli maschi di Alcide Cervi, sia per la prossimità della loro estrazione sociale a quella di tanti altri partigiani. Non intellettuali ma autonomi nella lettura e perfettamente in grado di sviluppare una coscienza civile, come contadini prima e, a maggior ragione, come resistenti poi.

La fucilazione dei Cervi

Cresciuti in una famiglia di ispirazione socialista, i Cervi si schierarono contro il fascismo, come il loro padre, aderendo alla Resistenza e adibendo la loro cascina in affitto, nella piana reggiana di Gattatico, a ricovero per i fuggiaschi. Oltre che a quartier generale per le azioni dei gruppi partigiani della campagna emiliana. Un’attività che non sfuggì ai repubblichini della Guardia Nazionale Repubblicana che, nella notte del 25 novembre 1943, distaccarono una pattuglia per dare l’assalto alla cascina Cervi, vincendo la resistenza degli occupanti dopo un breve scontro a fuoco. Fatti prigionieri, i sette fratelli furono detenuti nel carcere dei Servi a Reggio Emilia, diversamente dal padre Alcide e dalla maggior parte degli altri arrestati. Fece eccezione Quarto Camurri, amico dei Cervi e noto antifascista, che ne condividerà anche il destino. Fucilato, assieme a Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore, come rappresaglia per le azioni partigiane.

“I miei sette figli”

Le gesta della famiglia Cervi, dall’esperienza contadina fino al sacrificio in nome della libertà, saranno rese note dallo stesso Alcide, nel libro “I miei sette figli”. Un compendio che esplora, con una verità tanto prossima quanto può esserlo un padre con la sua prole, sia “il seme che la quercia e i suoi rami”, per usare un’immagine che lo stesso Alcide utilizzò parlando della sua famiglia. Della quale fu testimone diretto fino alla morte, nel 1970, presenziando a cerimonie, parlandone ai più giovani, mostrando le sette medaglie d’argento al Valore ottenute da ognuno dei suoi figli.

Passati alla storia come martiri ed eroi ma nati come contadini e innovatori nel modo di esserlo. Prima che rifugio, ricovero e base operativa, la loro cascina a Gattatico fu casale campestre all’avanguardia, con trattore Balilla e germogli spuntati da una terra difficile. Nonché biblioteca frugale (e oggi museo) per i braccianti vicini. Simbolo di una cultura condivisa, ieri come oggi.

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