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La “migrazione” delle piante alpine: ecco cosa sta succedendo

Come i cambiamenti climatici impattano sulla vita delle piante originarie delle Alpi: lo studio italiano pubblicato sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti

Negli ultimi 30 anni le piante originarie delle Alpi si sono spostate a quote sempre più alte e le loro nicchie di sopravvivenza si sono ridotte a causa del cambiamento climatico; sanno invece resistere meglio le specie aliene. Per esempio, negli ultimi 30 anni il Bromus erectus si è spostato con una velocità di circa 3 metri l’anno e una specie aliena come il Sorghum halepense si è spostata alla velocità di 4 metri l’anno.

La ricerca italiana

Lo indica la ricerca italiana, guidata da Lorendo Marini e Costanza Geppert, entrambi dell’Università di Padova, e pubblicata sulla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (Pnas). Condotta in collaborazione con Alessio Bertolli e Filippo Prosse, della Fondazione Museo civico di Rovereto, la ricerca è basata sull’analisi di oltre 1.400 specie, fra autoctone e aliene, tra il 1990 e il 2019.

L’aumento delle temperature ha un forte impatto anche sulle piante che vivono nelle Alpi perchè il riscaldamento spinge le varie specie a salire di quota per avere a disposizione ambienti adatti alla sopravvivenza. Ma questa scalata in cerca di temperature più fredde ha ovviamente per le piante dei tempi piuttosto lenti, più lenti dei cambiamenti in atto, e dunque si assiste alla graduale riduzione delle nicchie di vivibilità di molte piante. Analizzando questi cambiamenti nel corso degli ultimi 30 anni, i ricercatori italiani hanno verificato che questa traslazione verso l’alto non avviene nello stesso modo per tutte le specie, le piante autoctone mostrano infatti una maggiore difficolta’ di sopravvivenza rispetto alle piante aliene, le specie che negli anni (a causa dell’introduzione da parte dell’uomo) hanno trovato spazio nelle Alpi ma che erano originarie di altre zone.

In particolare, per le specie autoctone si assiste infatti a una riduzione più pronunciata alle altitudini più basse mentre le specie aliene hanno una maggiora facilita’ di adattamento alle temperature calde. Un fenomeno, sottolineano gli autori, che dovrebbe spingere ad estendere le politiche di conservazione della flora autoctona anche nelle aree a bassa quota dove c’è generalmente una minore attenzione al problema e allo stesso tempo una più forte competizione da parte delle specie aliene.

Le dichiarazioni degli autori dello studio

“In ecologia è raro poter esaminare dati con una buona risoluzione spaziale e temporale. In questo studio abbiamo potuto analizzare i cambiamenti di distribuzione di più di un milione di record di 1.479 specie alpine in un periodo di trent’anni “, osserva Geppert, del Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell’Università di Padova. Marini, che ha coordinato lo studio, rileva che “la rapida perdita delle aree di distribuzione specifica delle piante rare si è verificata in zone in cui le attività umane e le pressioni ambientali sono elevate. Questo – prosegue – ci suggerisce che bisognerebbe proteggere anche alcune aree a valle e non solo le zone d’alta quota più remote. Quello che abbiamo fatto è stato misurare l’abilità a competere, anche con l’uomo, delle specie vegetali. Le piante aliene in condizioni di disturbo – per fertilizzazione, rimozione della vegetazione residente per la costruzione di una casa, una strada o un parcheggio – sono molto veloci a crescere e sfruttare le risorse presenti, sottraendole alle altre specie autoctone. Dal nostro studio è emerso che proprio nelle aree più antropizzate e disturbate le piante aliene sono particolarmente abili a competere con le altre specie“.

Per Prosser e Bertolli “le zone aperte rischiano di scomparire poiché nelle aree più acclivi e scomode sono in fase di abbandono, mentre in quelle pianeggianti vicino alle strade sono soggette a sempre più eccessive concimazioni e pascolamenti, che determinano una banalizzazione della componente floristica. Il pericolo è perdere specie davvero uniche e preziose per la biodiversità delle nostre Alpi”.

Fonte Ansa

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