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Mattarella: “La stagione della ricostruzione si presenta anche come stagione di doveri”

L’intervento del capo dello Stato durante la cerimonia per lo scambio degli auguri con i rappresenti delle istituzioni e delle forze politiche

Un bilancio positivo dell’anno che si va concludendo, secondo le premesse gettate nel 2020, con la “pandemia che segna ancora il nostro tempo”, un tempo in cui siamo chiamati “alla prudenza e alla responsabilità” senza però essere “in balia degli eventi” grazie ai vaccini e alle “risposte solidali“. Questi alcuni dei passaggi dell’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso della cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i rappresentanti delle istituzioni, delle forze politiche e della società civile.

Il discorso del capo dello Stato

“Quello che sta per concludersi è stato un anno di lavoro intenso, come auspicato al termine del 2020. Con priorità chiare: la lotta alla pandemia e la ripresa della vita economica e sociale del Paese. Credo che possiamo trarne un bilancio complessivamente positivo, per aver alzato la protezione dei cittadini di fronte alla minaccia del virus e per aver rimesso in moto la società. È stato il frutto di scelte coraggiose, dei progressi della scienza, di comportamenti coscienziosi, di senso civico diffuso, e la risultante di una convergenza tra le istituzioni e i cittadini. La pandemia segna ancora il nostro tempo. Ha provocato dolore, sofferenze, nuove povertà. Ma abbiamo visto risposte solidali, sono emersi talenti e qualità inespresse, si sono accelerati processi innovativi. Siamo stati spinti a correggere, con misure efficaci, l’inerzia delle dinamiche economiche e sociali innescate dalla crisi. Siamo ancora chiamati alla prudenza e alla responsabilità. Ci siamo dotati, tuttavia, di strumenti adeguati per combattere il virus. Non ci sentiamo più in balìa degli eventi. Pensando all’anno trascorso, viene spontaneo riflettere su quel che può apparire un paradosso: cercare di riconquistare la normalità delle nostre vite sapendo che siamo nel mezzo di trasformazioni epocali che stanno cambiando il lavoro, le abitudini, le relazioni, oltre alle priorità dell’agenda pubblica. La normalità che, ad oggi, siamo riusciti a riconquistare – circondata da cautele e da misure di vigilanza sanitaria – è già diversa da quella che conoscevamo. La normalità che perseguiamo non sarà comunque il ritorno al mondo di prima. Adesso la sfida è la ripartenza che, per essere efficace, deve vederci capaci di profondi cambiamenti: mutare i nostri stili di vita, dare allo sviluppo una forte qualità ambientale, fare della transizione digitale una leva per migliorare processi produttivi e, al tempo stesso, per migliorare la vita delle persone e delle comunità. La ricostruzione sviluppata in questo anno ha, difatti, come obiettivo quello di fornire risposte nuove a problemi spesso trascurati e che hanno assunto caratteristiche inedite. La pandemia ha posto in luce questioni che riguardano i modelli sociali, il rapporto con l’ambiente, il rispetto dei diritti delle persone e della convivenza, una più equa distribuzione delle opportunità: si tratta di temi cresciuti nella sensibilità comune anche in ragione dell’impegno per sconfiggere il virus. Nel Paese sono emerse risorse, capacità, energie che hanno consentito di affrontare uno dei passaggi più pericolosi e difficili degli ultimi decenni. Abbiamo adottato misure rigorose non appena abbiamo avvertito la pericolosità del virus, quando l’Italia era tra i Paesi più colpiti al mondo. Desidero, ancora una volta, esprimere grande riconoscenza ai nostri medici, agli infermieri, a tutti gli operatori del sistema della sanità che continuano a prodigarsi con abnegazione per curare i malati, per salvare vite. È stata potenziata la sanità pubblica e, alla professionalità di medici e operatori, si è unita la passione civile, il senso di umanità, la solidarietà, la capacità organizzativa che ha visto l’impegno delle donne e degli uomini delle Forze Armate, dei Corpi di Polizia, della Protezione civile, di tanti volontari in ogni angolo del Paese. La ricerca e la scienza hanno conquistato risultati straordinari, in poco tempo, grazie a una collaborazione internazionale che ha superato limiti e barriere. Un comune storico impegno. I vaccini sono stati la migliore arma di difesa e gli italiani hanno risposto con maturità. Anche la macchina organizzativa dello Stato e delle Regioni si è mostrata all’altezza. Grazie all’alto numero di vaccinazioni ci troviamo oggi in condizioni migliori di altre aree d’Europa. Dobbiamo continuare senza incertezza su questa strada. Così ci potremo assicurare la più alta protezione possibile. La risposta corale degli italiani è stata favorita dagli interventi di sostegno a favore delle fasce più deboli e dei settori maggiormente colpiti dalla frenata delle attività economiche e sociali. L’apertura di un ciclo di politiche espansive si è resa possibile grazie a una coraggiosa e opportuna svolta, di cui l’Unione europea si è fatta protagonista. Non sono stati ripetuti gli errori compiuti nelle precedenti crisi globali: l’Europa ha messo in campo risorse finanziarie ingenti e ha sospeso quei vincoli che avrebbero avuto pesanti effetti regressivi. L’obiettivo è sostenere una crescita capace di promuovere uno sviluppo con forti caratteri innovativi nel Continente che lo spinga all’avanguardia per sostenibilità ambientale, per capacità tecnologiche e digitali, per equità sociale. I governi della Repubblica che si sono trovati a fronteggiare la pandemia hanno fornito un contributo importante a questa svolta europea. Ora abbiamo il compito di dare attuazione, nei tempi previsti, al Piano nazionale di ripresa e resilienza in modo da cogliere queste opportunità storiche di innovazione e di crescita. Il successo dell’Italia – per la quantità e la qualità dei nostri progetti – sarà condizione di successo per l’intera Europa. Questo resta, comunque, un tempo difficile, nell’alternarsi di speranze e di nuovi allarmi. Si impone un’esigenza di chiarezza e di lealtà come premesse indispensabili di una piena, e comune, assunzione di responsabilità di fronte ai rischi che tuttora sono davanti a noi. Abbiamo visto come la chiarezza, di fronte alle asprezze della pandemia, abbia spazzato via il tempo delle distrazioni. Questo mi è parso uno straordinario segno di maturità e di serietà. Rivolgendomi a voi, che rivestite le più alte responsabilità istituzionali e rappresentate le forze politiche, economiche e sociali, mi sembra giusto rintracciare questo filo di speranza nella matassa intricata di questa stagione. Un filo che tiene insieme comportamenti virtuosi, gesti responsabili, disponibilità, generosità. La stagione della ricostruzione si presenta anche come stagione di doveri. Doveri assunti anche spontaneamente dai nostri concittadini, che desidero ancora una volta ringraziare. Abbiamo compreso che la Repubblica è al tempo stesso istituzioni e comunità. La comunità ha bisogno delle sue istituzioni democratiche per difendere se stessa, per tradurre in realtà i propri valori, per aprirsi la strada verso il futuro. La prima difesa dal virus è stata la fiducia della stragrande maggioranza degli italiani nella scienza, nella medicina. Vi si è affiancata quella nelle istituzioni, con la sostanziale, ordinata adesione a quanto indicato nelle varie fasi dell’emergenza dai responsabili, ai diversi livelli. Le poche eccezioni – alle quali è stato forse dato uno sproporzionato risalto mediatico – non scalfiscono in alcun modo l’esemplare condotta della quasi totalità degli italiani. Credo che si possa riconoscere come in Italia si sia affermata una sostanziale unità. Unità di intenti di fronte alla pandemia. E unità di sforzi per gettare le basi di un nuovo inizio. Il tempo dei costruttori si è realizzato in questa consapevolezza. Non era scontato. Voglio per questo esprimere un riconoscimento all’impegno delle forze politiche che hanno colto il senso dell’appello rivolto, all’inizio dell’anno, al Parlamento affinché, nell’emergenza, si sostenesse un governo per affrontare con efficacia la pandemia in atto e per mettere a punto progetti, programmi e riforme necessari per non dissipare la straordinaria opportunità del Next Generation. Aver saputo porre in secondo piano divisioni e distinzioni legittime, diversità programmatiche e sensibilità politiche e culturali per privilegiare un lavoro comune nell’interesse nazionale è stato molto importante. Questo atteggiamento costruttivo ha accomunato sovente maggioranza e opposizione. Ha funzionato il rapporto tra lo Stato e le Regioni, le quali – e rivolgo loro un ringraziamento – hanno collaborato attivamente e positivamente con i governi che si sono succeduti. Le iniziali comprensibili frizioni e sovrapposizioni sono state progressivamente superate. Ha funzionato, ed è stato elemento di forza del sistema, il rapporto con i sindaci e con gli amministratori locali, punto di riferimento prezioso per le loro comunità e generosa avanguardia della Repubblica in ogni territorio. La stessa macchina pubblica tende a rafforzarsi, con le amministrazioni proiettate verso il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi indicati nel Piano nazionale. Certo, vi sono ancora ritardi e lacune da colmare, ma guardando a quanto fatto possiamo dire che siamo sulla buona strada e che ci sono le condizioni per rendere intenso anche l’impegno futuro. La Repubblica è l’insieme delle sue istituzioni, dei cittadini, delle forze sociali, dei corpi intermedi, del mondo del lavoro e delle imprese. L’opera ricostruttiva sarà il frutto dell’impegno di tutti. Non mancano i dati incoraggianti: il tasso di crescita del Pil nazionale sarà tra i più alti tra i Paesi dell’Unione. A questo si aggiunge un recupero di posti di lavoro, una ripresa dei ritmi produttivi e dei consumi, un apprezzabile miglioramento della fiducia delle famiglie e delle imprese. Segnali positivi ma ancora fragili. Rintracciare il nesso che lega le cose buone che insieme sono state fatte, ognuno per la sua parte, non significa affatto ignorare i problemi che abbiamo davanti e le diseguaglianze che feriscono la nostra comunità. Basta pensare all’evasione fiscale, allo sfruttamento del lavoro precario, soprattutto delle donne e dei giovani, all’incuria verso troppi nostri territori esposti a rischi sempre più frequenti di catastrofi naturali. Accanto a questi preoccupano i dati demografici. Il tasso di occupazione – fondamentale parametro di coesione sociale – resta ancora basso. Gli infortuni – anche mortali – sul lavoro continuano, scandalosamente gravi. Gli squilibri territoriali, se non affrontati con interventi di struttura, rischiano di condizionare e frenare i progetti messi in cantiere. Anche sullo scenario globale gravano incertezze. Ci sono fattori di rischio che possono pesare sulla nostra economia e sulle politiche di bilancio: si pensi al costo dell’energia e di alcune materie prime necessarie alle nostre manifatture, alle difficoltà manifestatesi nel campo della logistica a supporto delle catene produttive. Il moltiplicarsi di focolai di tensione alle porte dell’Unione europea e l’assenza di governo europeo dell’immigrazione sono motivo di grande preoccupazione e le conseguenze, spesso drammatiche, che ne derivano per un grande numero di persone sono allarmanti. Proprio la pandemia ha reso evidente a tutti cosa significhi interdipendenza. Non si potrà più tornare indietro da questa consapevolezza. La lotta al virus o è globale o non esiste. Anche l’obiettivo di un nuovo modello di sviluppo, sostenibile sul piano ambientale e sociale, sarà possibile soltanto con la cooperazione dei Paesi e delle istituzioni internazionali. Il G20, che l’Italia ha avuto l’onore di presiedere con successo quest’anno, ha compiuto passi in avanti nell’assunzione di questa responsabilità. Il nostro Governo è stato molto attivo per dare un indirizzo positivo alla multilateralità, condizione ineliminabile del governo globale. L’Europa resta una realtà imprescindibile per l’Italia. L’Unione europea è il nostro primo ambito d’azione, e per questo siamo impegnati a potenziarne le istituzioni e le politiche a favore delle imprese, delle società, dei cittadini. Abbiamo contribuito a un nuovo corso dell’Europa, adesso vogliamo che non si torni indietro e che si proceda su questa strada, a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Europa. Ho sottolineato soprattutto le ragioni che inducono alla speranza perché, troppo spesso preferiamo soffermarci soltanto sui nostri limiti, su ciò che divide o sulle lacune. Non vanno né ignorate né sottaciute ma, limitandosi a questo, si rischia di cedere alla tentazione della rassegnazione. Tarlo pericoloso che blocca il Paese, che consuma il futuro, soprattutto dei giovani. L’Italia è un grande Paese e gli italiani sono un grande popolo. Dobbiamo avere fiducia nelle nostre possibilità. Il Premio Nobel assegnato a Giorgio Parisi è certamente il frutto della sua intelligenza e del suo lavoro di scienziato. Ma quel premio costituisce anche un riconoscimento alla nostra università e alle qualità della nostra ricerca; questo ci rende orgogliosi e ci incoraggia a guardare avanti. Del resto, una delle caratteristiche della nostra gente si manifesta quando le condizioni sono difficili: quello è il momento in cui riusciamo a esprimere il meglio di noi. A ritrovare la fiducia smarrita. Non rinunciamo alle differenze e alle diversità. Ma sappiamo essere uniti sulle grandi scelte, quando le circostanze della vita lo richiedono. L’augurio che rivolgo a voi e al nostro amato Paese – per il futuro – è che lo spirito costruttivo e collaborativo, reciprocamente rispettoso, possa divenire un tratto stabile dei rapporti istituzionali. È questo lo spirito che ha costruito la Repubblica, che ne alimenta la vita, che rafforza tutte le istituzioni, che conferisce autorevolezza e che alimenta la fiducia nell’Italia”.

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