Se non siamo tornati ai tempi del vecchio west poco ci manca. L’America sta vivendo una nuova stagione di violenze, dove in troppi hanno il grilletto facile. Poliziotti, per lo più, che nel mirino mettono i neri. Con buona pace del presidente Obama, che sta cercando di contrastare la lobby delle armi. Drammi su drammi. Un po’ per colpa di chi pensa che la divisa possa dargli un’immunità totale, un po’ per l’eccessiva facilità con la quale oggi come oggi si può prendere una rivoltella e colpire qualcuno.
Ma qualcosa sta cambiando: “Si tratta dell’atto più stupido che io abbia mai visto compiere da un’agente di polizia. Non c’è nessuna giustificazione. Una tragedia assoluta di questo 2015. Un’azione senza senso”. Le parole sono del procuratore della contea di Hamilton, Joe Deters, che ha commentato le azioni compiute da Ray Tensing, accusato di aver ucciso un 42enne di colore, Samuel Dubose a Cincinnati.
L’episodio è sconcertante: lo scorso 19 luglio l’afroamericano, padre di 13 figli, era al volante della sua auto, sprovvista però della targa anteriore. Alla richiesta della patente, secondo quanto riferito dal poliziotto l’uomo ha consegnato una bottiglia di alcol. E’ poi seguita una colluttazione e l’agente avrebbe estratto la pistola e sparato. Un solo colpo che ha raggiunto Dubose alla testa, uccidendolo. Quasi sempre questi atti sono restati impuniti, ma ora un Gran Giurì dell’Ohio lo ha incriminato. Se verrà condannato, il 25 enne bianco della polizia universitaria di Cincinnati rischia fino all’ergastolo.
Un altro nome, quello di Dubose, che si va ad aggiungere alla lista degli afroamericani disarmati uccisi dalla polizia a stelle e strisce. Era il 9 agosto 2014 quando Michael Brown, 18enne di colore, veniva fermato e ingiustamente accusato di furto. Il giovane è deceduto dopo essere stato raggiunto da una serie di colpi, sparati dall’agente bianco della polizia di Ferguson, Darren Wilson. Vittima nera, poliziotto bianco. Una costante che sembra ripetersi anche 10 giorni dopo, quando a morire è Kajieme Powell, un 23enne appartenente alla comunità afroamericana mentre partecipava a una manifestazione proprio per la morte di Brown. Un testimone ha filmato la scena, nella quale si vede il giovane avvicinarsi alle forze dell’ordine, nonostante gli fosse stato chiesto di fermarsi. Poi la brutale esecuzione: gli agenti gli sparano contro 12 proiettili.
E poi ancora a New York, Aka Gurley, 28 anni, nero, fu colpito in pieno petto da due reclute in perlustrazione sulle scale buio di un edificio. Tony Robinson, nero di 18 anni, muore invece il 7 marzo, giorno in cui nel Wisconsin si sono celebrati i 50 anni dalla marcia di Selma. Ai poliziotti viene segnalata la presenza di una persona che salta in mezzo al traffico, una pattuglia si reca sul posto e spara al giovane, disarmato. E infine, in South Carolina viene pubblicato un video in cui si vedono gli agenti sparare alle spalle di un nero disarmato che stava fuggendo.
I continui crimini contro gli afroamericani hanno subito un’escalation. Non ultima la strage di Charleston, dove questa volta a colpire non è stato un agente di polizia, ma un ventenne bianco: Dylan Roof è entrato in una chiesa e aperto il fuoco sui partecipanti ad un gruppo di studio sulla Bibbia. La sua intenzione era quella di scatenare una “guerra razziale”.
Troppe armi, poco rispetto, niente valori. E’ un cocktail mortale che sta avvelenando la società americana. Ma la globalizzazione provoca guasti anche in questo campo: la sindrome del grilletto facile la possiamo trovare anche in Europa, persino in Italia. Si uccide per una litigata in casa, per una precedenza al semaforo, per un amore finito; e spesso lo si fa con una pistola. D’ordinanza.