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Quel 25 gennaio Giovanni XXIII cambiò per sempre la storia

Il 25 gennaio 1959, 66 anni fa, nella basilica di San Paolo fuori le Mura, Papa Giovanni XXIII annunciava al mondo il suo progetto di indire un Concilio per la Chiesa universale. Dopo la celebrazione conclusiva della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Giovanni XXIII, eletto papa da tre mesi, con umile risolutezza di proposito – sono parole sue – affermava il suo progetto di indire un Concilio per la Chiesa universale, ma anche un Sinodo per la diocesi di Roma e la riforma del Codice di Diritto Canonico.

Era domenica quel 25 gennaio e il Pontefice faceva questo annuncio inatteso a meno di una ventina di cardinali riuniti. “Sappiamo che da molte parti amiche e fervorose, e da altre malevole, o incerte, si guarda al nuovo Papa in attesa di ciò che di più caratteristico si è in diritto di attendere da Lui – disse il Pontefice-. È ben naturale che sul tessuto della quotidiana attività, che accoglie le più accresciute e le ordinarie manifestazioni del compito pastorale, venga fissato qualche punto più distinto, quasi a segnare la nota, se non la principale e la sola, però una delle più espressive della fisionomia di un pontificato, che sta prendendo il suo posto più o meno felicemente nella storia”.

Poi la vera e propria indizione del Sacro Concilio ecumenico e universale Vaticano II (25 dicembre 1961) fu il frutto di un’azione capillare di preparazione a livello sia universale, sia di Curia romana, non soltanto da parte di papa Giovanni, ma dell’intera Curia, dal momento che l’obiettivo era quello di far risentire la parola della Chiesa come la Chiesa di tutti e in particolare come “la Chiesa dei poveri”. Con il Concilio cominciò infatti qualcosa di nuovo, di inarrestabile. La storia non sarebbe più tornata indietro. Senza stravolgimenti, certo, ma anche con determinazione, con fermezza, componendo insieme fedeltà alla Tradizione e rinnovamento profetico, ritorno alla purezza delle fonti e nuovo approccio con il mondo e con i problemi degli uomini. E, quel cambiamento, fu ancora più evidente la sera dell’11 ottobre 1962 con la solenne apertura del Concilio ecumenico Vaticano II. Tutto accadde in maniera inaspettata. Piazza san Pietro si riempì di gente, Giovanni XXIII non voleva affacciarsi ma alla fine cedette. E, sulle sue labbra, sbocciò quello splendido discorso alla luna. “Si direbbe che anche la luna si è affrettata stasera. Guardatela là in alto”. Con l’invito ai papà, quando fossero tornati a casa, a dare una carezza ai loro bambini e a dirgli che gliela mandava il Papa.

Parole semplici ma che andavano subito al cuore. Parole della vita di ogni giorno, ma che la Chiesa per tanto tempo aveva come dimenticato, per adottare invece un linguaggio tutto suo, astratto, lontano dalla quotidianità del popolo. Dopo quel discorso improvvisato, Giovanni XXIII rientrò commosso nella sua stanza. “Non mi aspettavo tanto”, confidò al suo segretario, monsignor Capovilla. “Mi sarebbe bastato di annunciarlo, il Concilio. Dio mi ha permesso di avviarlo”. Morì pochi mesi dopo, ma la sua parte l’aveva fatta, e questo probabilmente era il ruolo che la Provvidenza gli aveva riservato: convocare il Concilio, aprirlo e tracciarne le grandi traiettorie pastorali ed ecumeniche. Insomma, l’inizio di una nuova storia, per la Chiesa cattolica ma anche per l’umanità.

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