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La claustrale: “La mia vita oltre la grata”

La clausura potrebbe apparire oggi una scelta obsoleta, addirittura inutile. L'immaginario collettivo si rifà al passato, quando quella di ritirarsi fra “quattro mura” veniva vista come la scelta di persone con qualche problema. Eppure la vocazione alla clausura è una risposta a una chiamata particolare data in piena e totale libertà. Ma chi la compie si espone molto spesso a critiche familiari e sociali, che cercando di provocare un ripensamento. Il 22 luglio 2016 Papa Francesco con la costituzione apostolica “Vultum Dei quaerere” sulla vita contemplativa femminile ha voluto accendere i riflettori sull’importanza di questa scelta totale alla vita consacrata; le parole del Santo Padre parole sono esplicative “Il mondo e la Chiesa hanno bisogno di voi, come 'fari' che illuminano il cammino degli uomini e delle donne del nostro tempo”. Un cammino che Suor Scolastica, monaca benedettina, ha raccontato a In Terris.

Perché la clausura oggi?
“È difficile comprendere una scelta così impegnativa, semplicemente perché è controcorrente. È una vocazione nella vocazione, un rapporto speciale con Dio; un Dio che si scopre e si fa trovare nel silenzio, nello stupore. Oggi non c’è silenzio, c’è chiasso, clamore ecco perché non si comprende come un ragazzo o una ragazza possano trovare vita dietro la grata”.

Ma quanto separa la grata dal mondo… 
“Se vogliamo non ripara, perché tra le mura di un monastero o di un convento vive una comunità fatta di esseri umani con il proprio passato, il proprio carattere e dunque bisogna armonizzarsi con gli altri; non è cosa facile, ma è lo scopo che lega, è la fede, siamo sorelle o fratelli in Cristo ed è un legame; nessuno ci costringe, è una libera scelta. Il mondo esterno ci tocca, ci appartiene, lo viviamo, ma in maniera diversa, siamo partecipi di tutto ciò che accade fuori delle 'mura'. Tante persone si rivolgono a noi ci chiedono preghiere, sanno che il monastero è un luogo dove si incontra Dio”.

Allora perché c’è crisi di fede?
“Perché la maggior parte delle persone chiede di pregare, ma non lo fa, ha difficoltà ad incontrare il Signore; non spera nel Suo amore, non lascia parlare l’anima, pensa di poter controllare tutto, con la scienza, la medicina, la tecnologia. Ha paura di fare un salto nella luce. Intorno a sé vede tenebre, non ha speranza. Non si rivolge a Dio, ma a chi Dio lo conosce, chiede intermediari; eppure non ne avrebbe bisogno, ma non lo sa perché non lo sperimenta. Spesso si ha paura di aver fede, fiducia di abbandonarsi alla provvidenza, ancora di più ad un amore che non si vede tangibilmente”.

Come nasce la vocazione?
“Ad Assisi ho sperimentato l’incontro con il Signore, ero ispirata al modello di vita francescano. In quella occasione di ritiro spirituale mi sono sentita veramente amata da Dio e ho preso in considerazione di essere vocata per la vita claustrale, avevo 18 anni e l’anno dopo sono entrata in monastero. Ma non nelle Clarisse, bensì nel monastero delle Monache benedettine di Santa Grata a Bergamo. Sono approdata alla vita benedettina dopo una serie di incontri con un Padre spirituale; nel discernimento ho avuto chiara la mia scelta, che non è stata fatta in base ad un santo piuttosto che un altro, ma al carisma della condivisione, preghiera e lavoro. Ho trovato nella regola di San Benedetto una regola umana, accessibile ed equilibrata; quando ho conosciuto la comunità mi sono sentita accolta come in famiglia”.

Ma i voti di povertà castità e obbedienza non differiscono…
“L’idea della povertà è diversa rispetto gli altri ordini di clausura. San Benedetto ha voluto scrivere una regola adatta a tutti, basata sull’armonizzare le attività di lavoro, il tempo dedicato alla meditazione e alla preghiera e le necessità della persona da quelle fisiche e spirituali”.

Come si svolge la vita in monastero?
“E' scandita dalla preghiera; ci alziamo alle 5 alle 5,30 abbiamo l’ufficio delle letture, poi un breve intervallo, le lodi, la  Messa e l’ora terza; poi facciamo colazione e dopo il suono della campana ognuna va al proprio lavoro. Alle 11,30 abbiamo l’ora sesta e alle 12 il pranzo, che svolgiamo in silenzio perché c’è una lettrice che legge la parola o un’agiografia, poi abbiamo un’ora di riposo e silenzio rigoroso; alle tre l’ora nona segue il lavoro, alle 17 il Rosario, seguono il vespro, la lectio divina e la cena. Alle 8 la comunità si ritrova per un’ora di ricreazione, poi la compieta e il ritiro nella propria cella”.

Quali sono attività svolgete?
“Ci occupiamo dell’orto, confezioniamo paramenti liturgici, abbiamo un ostificio, scriviamo su pergamene in gotico, eseguiamo miniature per libri, abbiamo una biblioteca con testi molto antichi. Il nostro monastero è stato fondato in epoca longobarda, nel 1026 fu introdotta la regola benedettina, quindi ci occupiamo anche di mantenere la Chiesa e la struttura fisica del monastero, data la sua notevole importanza storica”.

Attualmente ci sono novizie?
“Purtroppo no, nonostante il monastero sia meta per gruppi di preghiera e per discernimento vocazionale, è difficile far comprendere il valore della preghiera e di conseguenza della vita contemplativa, ma noi abbiamo fiducia nel disegno del Signore che mai manca di provvedere”.

 

 

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