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I 40 anni del “Rapporto sulla fede”

Nel 1985 esce lo storico libro-intervista “Rapporto sulla fede”, colloquio tra Vittorio Messori e Joseph Ratzinger, il futuro Benedetto XVI. Ricorre, quindi, il quarantesimo anniversario della pubblicazione di un’opera fondamentale. Il “manifesto” che chiudeva la fase tellurica del post-Concilio è ormai entrato tra i testi di riferimento della storia della Chiesa. Uscito nel 1985, l’anno stesso in cui si apriva il Sinodo per i vent’anni dalla fine del Vaticano II, raggiunse in tutto il mondo diffusioni da best-seller. In effetti, per la prima volta nella storia, un prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede (l’ex Sant’Uffizio) parlava “a cuore aperto”, con lucido e coraggioso realismo, affidando le sue riflessioni sulla fede al giornalista e scrittore Vittorio Messori. Il “Rapporto sulla fede” è ormai un classico, ma è sempre bruciante la sua attualità di punto obbligato di riferimento per comprendere presente e futuro della cristianità. Benedetto XVI è stato l’ultimo dei pontefici coinvolti personalmente nei lavori del Vaticano II. Da giovanissimo e già stimato teologo, Joseph Ratzinger segue da vicino l’assise come perito del cardinale Frings di Colonia, vicino all’ala riformatrice. Joseph Ratzinger è un giovane teologo tedesco del suo tempo. Formatosi lontano dalle accademie pontificie, insofferente verso la neo-scolastica. Su richiesta di Frings, Ratzinger prepara lo schema di un documento “programmatico” sugli obiettivi del Concilio, da far approvare all’inizio dei lavori. Il Concilio deve solo “dare testimonianza a Gesù Cristo per coloro che vivono in questa ora della storia presente”. Rendendosi “contemporaneo agli uomini d’oggi“.

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@Fondazione Ratzinger

Il modello da seguire è quello mostrato da san Paolo, che per Cristo “si è fatto tutto a tutti“. Il Concilio vuole solo favorire con l’aiuto di Dio il rinnovamento della vita interiore della Chiesa, in modo che essa, come sposa di Cristo, “sia da Lui stesso rinnovata di giorno in giorno”. È sempre Joseph Ratzinger, su richiesta del cardinale arcivescovo di Colonia, a preparare anche degli appunti critici agli schemi preparatori per il Concilio elaborati dalla Curia romana e che saranno poi accantonati. Il futuro papa boccia senza appello lo schema elaborato dalla Commissione teologica sulla preservazione della purezza del depositum fidei (“è così carente che in questa forma non può essere proposto al Concilio“). In seguito ebbe grande eco il discorso che Joseph Ratzinger tenne davanti all’Accademia bavarese sul tema “Perché sono ancora nella Chiesa”. Nel quale, con chiarezza, affermò: “Solo nella Chiesa è possibile essere cristiano e non ai margini della Chiesa”. Per Ratzinger, i testi “dovrebbero dare risposte alle questioni più urgenti e dovrebbero farlo, per quanto possibile, non giudicando e condannando. Ma usando un linguaggio materno, con un’ampia presentazione delle ricchezze della fede cristiana e delle sue consolazioni“.

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Foto di Simone Savoldi su Unsplash

Parlando della liturgia agli operatori radio-televisivi tedeschi, in quegli anni il professor Ratzinger esalta la riforma liturgica in arrivo e i motivi della sua provvidenziale ineluttabilità. Parla di scollamento tra una liturgia “archeologizzata” e la devozione concreta vissuta dai santi e dal popolo cristiano. La messa solenne barocca, con lo splendore delle sue esecuzioni orchestrali, era diventata “una specie di opera sacra”. Dice che per ritrovare la vera natura della liturgica occorreva “forzare il muro del latino”. Ma Joseph Ratzinger è testimone diretto anche della crisi postconciliare, della contestazione nelle università e nelle facoltà teologiche. È testimone diretto della messa in discussione di verità essenziali della fede e della sperimentazione selvaggia in ambito liturgico. Già nel 1966, appena un anno dopo la conclusione del Vaticano II, il professor Ratzinger parla al Katholikentag, a Bamberg. Dice di veder avanzare un “cristianesimo a prezzi ribassati”. E avverte: “Un orientamento della Chiesa al mondo, che dovesse rappresentare un suo allontanamento dalla croce, non porterebbe a un rinnovamento della Chiesa, ma alla sua fine”.

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Foto © Stefano Carofei (Imagoeconomica)

Joseph Ratzinger parla di “pericoloso, nuovo trionfalismo nel quale cadono spesso proprio i denunciatori del trionfalismo passato. Fino a quando la Chiesa è pellegrina sulla terra, non
ha diritto di gloriarsi di se stessa. Questo nuovo modo di gloriarsi potrebbe diventare più insidioso di tiare e sedie gestatorie che, comunque, sono ormai motivo più di sorriso che di orgoglio”. Per questo le sue posizioni cominciano a divergere da quelle di altri teologi progressisti. Divenuto arcivescovo di Monaco e poi dopo pochi anni, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Ratzinger dà inizio a una rilettura del magistero conciliare, o meglio, dell’applicazione del Concilio, nel senso della riforma nella continuità. È il papa che più avverte, per la sua storia ed esperienza personale, l’esigenza di definire un corretto quadro ermeneutico dell’evento conciliare. Purtroppo, il pontificato di un teologo umile e profondo, complesso e per nulla retrogrado, viene spesso “schiacciato” su cliché interpretativi conservatori.

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