Riapre l’ambasciata italiana a Tripoli e sarà la prima a operare in modo continuativo in Libia. Un successo per la nostra diplomazia, frutto dell’accordo tra il ministro dell’Interno, Marco Minniti e il premier libico Fayez al Serraj. L’annuncio è stato accolto con soddisfazione da Paolo Gentiloni: “Riapre l’ambasciata italiana a Tripoli – ha tweettato -. Impegno del governo per stabilizzare la Libia e collaborare contro i trafficanti di esseri umani”.
Dopo i viaggi in Tunisia ed a Malta, Minniti ha puntato diritto a quello che è il “cuore” del problema-immigrazione. Dalla Libia, infatti, parte quasi il 90% dei migranti che approdano sulle coste italiane. Ma il Governo Serraj, appoggiato dall’Onu, non ha il controllo del territorio dilaniato dagli scontri tra milizie. Un contesto in cui i trafficanti di uomini prosperano finora praticamente indisturbati. E, dunque, l’efficacia di un piano di contrasto all’immigrazione illegale non può che passare dal rafforzamento delle entità statali della Libia.
Il Viminale ha definito la missione di Minniti come “l’avvio di una nuova fase di cooperazione tra i due Paesi, soprattutto con riferimento al settore migratorio”. L’Italia è pronta ad assistere la Guardia costiera e la Marina libiche fornendo 10 motovedette; inoltre, sulle navi della missione Europea EunavforMed (a guida italiana) si stanno addestrando dallo scorso ottobre 78 addetti libici, mentre altri 500 si stanno formando a terra. L’obiettivo è arrivare entro l’estate ad un pattugliamento congiunto in mare nelle acque libiche, come auspicato dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Tripoli ha anche chiesto sostegno per poter organizzare voli di rimpatrio dei migranti che, se si arrestano le partenze via mare, resterebbero ammassati nel Paese. Sono centinaia di migliaia, stipati in centri in condizioni estremamente degradate. Ed un aiuto è stato sollecitato anche per la protezione dei confini meridionali: migliaia di chilometri di deserto attraversati dai disperati dell’Africa subsahariana.
A riguardo il vecchio memorandum d’intesa sottoscritto all’epoca dal Governo Berlusconi e da Gheddafi prevedeva la fornitura di un sistema radar per il controllo delle frontiere da parte di Selex. Nonchè il contributo italiano alla realizzazione di alcuni centri di accoglienza in territorio libico. Insomma, i temi sono sempre quelli: l’Italia dà aiuti e la Libia blocca le partenze. Ma oggi non c’è Gheddafi, nè una figura che possa unificare le diverse fazioni del Paese. Il percorso della nuova collaborazione tra i due Paesi non si annuncia quindi facile. Intanto, una notizia positiva è l’apertura dell’ambasciata italiana a Tripoli. Domani l’ambasciatore Giuseppe Perrone presenterà le sue credenziali al Governo locale. E’, ha commentato il ministro degli Esteri Angelino Alfano, “un importantissimo segnale di amicizia nei confronti di tutto il popolo libico ed è un segnale di forte fiducia nel processo di stabilizzazione di quel Paese”. Sarà proprio l’ambasciata a coordinare i progetti di collaborazione.
Intanto, però, Khalifa Ghwell, ex premier del dissolto governo libico islamista di salvezza nazionale e protagonista nell’ottobre scorso di un tentativo fallito di colpo di stato contro il Gna di Tripoli, ha chiesto al premier Paolo Gentiloni, di ritirare il contingente militare italiano presente a Misurata. Ghwell, in un comunicato del governo di Salvezza diffuso da alcuni media libici, paragona la presenza italiana a Misurata a quella del passato coloniale fascista. Il riferimento è alla missione italiana Ippocrate, con lo schieramento presso la base area di Misurata di 65 unità di un’ospedale da campo, 135 unità di una componente di comando, controllo e logistica e 100 unità di supporto per la protezione delle componenti della struttura ospedaliera.