Tre quarti di secolo da un massacro che ha segnato l’Italia. Sono passati 75 anni dall’eccidio di Monte Sole. Il 29 settembre 1944 a Marzabotto, sulle colline di Bologna, le truppe delle SS si macchiarono di un abominio che in Emilia non è mai stato dimenticato. Per capire quanto diabolico sia stato il nazismo è utile la profondità dell’esperienza di fede. il conflitto mondiale, segnò, invece, la giovinezza di Joseph Ratzinger, che del nazismo sentiva parlare anche in chiesa, quando il parroco leggeva le lettere pastorali dei vescovi tedeschi, che denunciavano l’inosservanza del concordato sottoscritto da Hitler, soprattutto per quanto riguardava la libertà di insegnamento nelle scuole confessionali. L’ex presidente della Repubblica,Francesco Cossiga citava spesso i suoi colloqui con Benedetto XVI, al quale lo legavano l’amore per la letteratura e anche la passione per i dolci. La domenica l’ex capo dello Stato gli faceva recapitare in Vaticano una cassata o una pastiera. “Ogni volta che la nostra conversazione incrociava gli anni della Seconda Guerra mondiale non mancavano mai sulla sua bocca espressioni di esecrazione, ripugnanza e condanna irrevocabile nei confronti del regime nazista – rievocava Cossiga –. Definiva i nazisti “criminali” ed “assassini”, aggiungendo spesso nuovi dettagli che riaffioravano dai lontani eppure nitidi ricordi della sua adolescenza. Bagliori di orrore che spuntavano con sofferenza e pudore dal passato più intimo come chiodi estratti da una croce”.
Il mostro del totalitarismo
“Joseph Ratzinger e Karol Wojtyla hanno trascorso una giovinezza simile, segnata dalla tragedia della guerra: avevano molto in comune, ma a unirli, soprattutto, erano una fede che libera e l’avversione per i totalitarismi», sintetizzava il cardinale Achille Silvestrini, protagonista della ostpolitik della Santa Sede dagli anni Sessanta alla caduta del muro di Berlino, poi Ministro degli Esteri vaticano e prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Entrambi i papi hanno vissuto sulla loro pelle la tragedia del nazismo, uno in Germania, l’altro in Polonia, con tutto ciò che ne è derivato, modificandoli e temprandoli, avvicinandoli a Dio. “Joseph Ratzinger ha vissuto come un sopruso il nazismo – spiega lo storico del cristianesimo Giovanni Maria Vian, per dodici anni direttore dell’Osservatore Romano, dal 1991 docente di Filologia patristica a La Sapienza, dove dal 2005 è ordinario–. Aveva 16 anni, era già in seminario ed era totalmente immerso negli studi teologici quando nel 1943 fu obbligato a vestire l’uniforme degli ausiliari della Wehrmacht, fu assegnato alla contraerea tra Baviera e Tirolo e arruolato a 17 anni in fanteria in Baviera. Nel 1945, negli ultimissimi giorni di guerra, disertò e fu internato dagli americani in un campo di prigionia. Si procurò un quaderno e una matita: componeva esametri greci e latini per combattere l’angoscia di quei giorni”.
Il Nobel e il futuro Papa
Lo scrittore Günter Grass, premio Nobel per la letteratura, rivelò, poco prima di morire, di aver conosciuto il futuro Benedetto XVI nel 1945 da internato in un campo di prigionia alleato a Bad Aibling. Come riferito dal quotidiano cattolico on line Aleteia, in un primo momento Grass affermò che, durante la detenzione, amava giocare a dadi e confrontarsi con Joseph Ratzinger, anch’egli lì recluso. “Ricordo le nostre confessioni – affermava Grass – lui era di origini bavaresi, cattolico in maniera intensa, quasi fino al fanatismo, ed era anche capace, con i suoi 17 anni, di infilare di tanto in tanto nel discorso delle citazioni latine. Voleva fare carriera nella gerarchia ecclesiastica, mentre io volevo diventare un famoso artista”. Dopo l’elezione al Soglio pontificio, Grass si mostrò più prudente sull’identità del Joseph conosciuto nel campo di prigionia: “Sapevo naturalmente chi fosse il cardinale Ratzinger, conoscevo la sua mentalità conservatrice, la sua entrata in scena partita dallo sfondo e perseguita con ostinazione, piano piano, sapevo che era stato a Bad Aibling. Questo Joseph mi sembrò all’improvviso conosciuto, anche il modo di comportarsi, questa timidezza, l’ostinazione, la delicatezza ma posso solo supporlo che quel ragazzo fosse lui”. Benedetto XVI nella sua autobiografia, La mia vita”, non ricorda il nome di Grass nei due mesi trascorsi nel campo di prigionia, però le ricostruzioni di entrambi sulla vita a Bad Aibling sono piuttosto coincidenti, tranne che per il numero di prigionieri presenti (Grass dice 100mila, Ratzinger sostiene la metà) e la grandezza della struttura.
Rastrellamenti tra le valli
“La storia lo ricorda come il più feroce eccidio perpetrato dai nazisti in Italia- ricorda il Fatto Quotidiano-. Perché tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944, sulle colline di Monte Sole, tra i Comuni di Marzabotto, Grizzana e Monzuno, in 770 morirono massacrati: donne, uomini, bambini, giovani, anziani. Uccisi dall’esercito nazista e fascista per rappresaglia nei confronti della Resistenza partigiana, nel corso di una guerra che ai paesini della montagna emiliano romagnola costò, in tredici mesi di lotte, 1.830 vite umane”. Sono trascorsi 75 anni dall’eccidio di Monte Sole, meglio noto come Strage di Marzabotto, perpetrato da un battaglione di SS capitanato dal maggiore Walter Reder per colpire la brigata partigiana Stella Rossa. Poco meno di una settimana di rastrellamenti tra le valli del Reno e del Setta, ricostruisce Il Fatto, che portarono “al più vile sterminio di popolo”, come lo descrisse il poeta e premio Nobel Salvatore Quasimodo: l’uccisione, cioè, di quasi mille civili, massacrati, paese dopo paese, senza alcuna eccezione, nelle chiese, nei cimiteri, davanti alle mura delle proprie case. Ammucchiati e poi sterminati a colpi di mitragliatrice e bombe a mano.
Il dovere della memoria
“Dalle frazioni di Panico, di Vaglio, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe di Salvaro e della periferia del capoluogo – ricordava lo scrittore bolognese Federico Zardi – le truppe, con i vessilli nazional socialisti, si mossero all’assalto delle case, delle cascine, delle scuole e fecero terra bruciata di tutto e di tutti. Fu quello l’inizio dello spaventoso eccidio”. Arte e letteratura danno voce alla tragedia. “L’uomo che verrà” del regista Giorgio Dritti, vincitore del David di Donatello nel 2010 come miglior film, narra il massacro di Monte Sole attraverso gli occhi della piccola Martina, 8 anni. Il libro di Andrea Speranzoni “Le stragi della vergogna”, attraverso documenti inediti, pagine processuali e intercettazioni telefoniche di ex nazisti, ripercorre le stragi nazifasciste tra testimoni e carnefici.