“Diciamola tutta: quando sei giovane pensi di avere il mondo in mano. Ai miei tempi non eravamo meno violenti dei ragazzi di oggi. Ma avevamo, o ci ponevamo dei limiti: il rispetto per gli anziani, per i più deboli. La nostra cattiveria era figlia della fame e dell’ideologia. Mentre questi mi sembra che facciano del male solo per il gusto di farlo, o per noia”. Per parlare del fenomeno della violenza giovanile partiamo dalla testimonianza di Franco, ex attivista degli anni di piombo, uno che ha respirato il clima incandescente delle piazze. Le sue parole non ingannino: niente (persino i propositi più nobili) giustifica il ricorso alla forza fisica o psicologica per imporre il proprio pensiero o manifestare la propria superiorità. Ma ci consentono di introdurre un tema spinoso entrato prepotentemente nella cronaca di questi mesi. Gli ultimi episodi sono quelli avvenuti negli stadi italiani: dai vergognosi striscioni contro la mamma di Ciro Esposito, sollevati durante Roma Napoli, all’assalto del pullman della Juve e al lancio di una bomba carta tra i tifosi del Torino, passando per l’aggressione di matrice ultrà ai giocatori del Cagliari. Violenze, insulti e intimidazioni dietro cui si nascondono facce di adolescenti o di 20enni che sposano la causa dell’odio territoriale, del razzismo, di una passionalità trasformata in delinquenza.
“L’anno scorso mi trovavo in curva – dice a Interris.it Andrea – e i gruppi guida avevano deciso di non cantare per protesta contro la squalifica del settore. Gli altri spettatori si sono ribellati e hanno iniziato a tifare. Inferociti alcuni ultras hanno scavalcato le vetrate minacciando di picchiarci se non avessimo smesso”. Un inaccettabile schiaffo alla libertà di pensiero, commesso da quelle stesse generazioni chiamate, un domani, a guidare la nostra società. Quello degli stadi è un caso limite che non esaurisce il quadro della violenza giovanile. Pensiamo al bullismo, diventato ormai un fenomeno diffuso tra i teenager italiani. Persecuzioni vere e proprie messe in atto nei confronti di soggetti più deboli da parte di uno o più ragazzi. Prevaricazioni che avvengono nel silenzio dei protagonisti: la vittima, troppo spaventata per confrontarsi con un adulto, preferirà tacere, mentre i testimoni sceglieranno la via dell’omertà per non subire vendette. Nel complesso, assicurano gli psicologi, il contesto sociale nel quale si sono verificati gli episodi ne risulterà frantumato, con gravi ripercussioni fisiche e mentali per tutti, aguzzino compreso.
Particolarmente infame è poi il cyberbullismo, vessazioni che avvengono attraverso sms, via mail o sui social network e finalizzate anch’esse a emarginare il soggetto debole, a metterlo alla berlina. Secondo una recente indagine di Telefono Azzurro e DoxaKids, condotta su oltre 1500 studenti di età compresa tra gli 11 e i 19 anni, il 34,7% dei ragazzi ammette di aver assistito o di essere stato vittima di episodi di bullismo e la scuola risulta essere il luogo in cui il fenomeno è più diffuso.
Tutto qui? Nemmeno per idea. A volte è semplicemente la moda, il desiderio di apparire, che stimola le corde più oscure dell’animo umano. Pensiamo al knockout game, pratica aberrante importata dagli Stati Uniti e diventata virale su Youtube. Il “gioco” funziona così: un gruppo di giovani avvicina la potenziale vittima con la scusa di chiedere un’informazione e, quando questa si distrae, la colpisce con un pugno al volto. Vince chi riesce a far cadere in terra più persone, postando poi il video della bravata su Internet. Negli Usa il ko game è molto diffuso e ha già provocato più di un morto, tanto che ora se ne sta occupando l’Fbi. In Italia aggressioni simili si sono verificate in diverse città; a Brescia due persone di mezza età sono state assalite da 4 teenager sotto l’effetto di droghe mentre chiacchieravano al bar; a Roma, quartiere Trastevere, a finire all’ospedale è stato il gestore di un locale. E poi altri casi a Milano, Venezia, Napoli. Frutto di una violenza cieca e immotivata, causata dalla malsana idea di apparire, a ogni costo.
Sempre secondo uno studio di Telefono Azzurro sulla violenza giovanile (non solo fisica) comportamenti quali urlare e insultarsi sono sempre più diffusi: ad 1 adolescente su 4 è capitato che il proprio partner inveisse contro di lui (o di lei), e il 38,1% degli intervistati, soprattutto ragazze ha detto di conoscere un coetaneo a cui il partner ha strillato contro. Le minacce, invece, spesso riguardano la vita online: sebbene solo il 2,7% dichiari di avere subito personalmente questo tipo di condotta, il 10,1% dei teenager conosce qualcuno il cui compagno ha minacciato di postare in rete foto o video privati.
Gli stessi dati mostrano come all’interno delle relazioni di coppia tra adolescenti si verifichino anche violenze fisiche e sessuali. Al 5,7% degli intervistati è capitato di essere stati picchiati dal/la partner. La differenza tra i sessi, per quanto concerne la violenza fisica, merita un approfondimento, visto che il 7,9% dei maschi – a fronte del 3,3% delle femmine – ha dichiarato di essere stato picchiato dal partner. Numeri che consentono di tracciare un quadro preoccupante sulla gioventù violenta, frutto di una società che troppo spesso lascia soli i ragazzi.