Durante il primo anno del governo 5 Stelle e Lega l’andamento dello spread ha ricominciato a fluttuare preoccupando investitori e mercati. Una corsa che nel giro di 365 giorni ha portato il differenziale di rendimento tra i titoli decennali emessi dal nostro Ministero dell’Economia e i buoni del tesoro tedeschi a schizzare dai 214 punti base di un anno fa ai 262 della chiusura di venerdì. L'agenzia di rating Moody's prevede una rivalutazione del debito entro il prossimo 6 settembre, quando mancano ancora tre mesi sembra che la fiducia dei mercati verso l'economia italiana sia peggiorata e l'andamento dell'indice dello spread ne è una conseguenza. Dello stesso segno le critiche fatte da Mario Draghi – presidente della Banca centrale europea – che ha sottolineato l'importanza di una riduzione “credibile” del debito.
Il ruolo della politica
Fin dai giorni precedenti alla loro nomina, i due partiti di governo sono stati guardati con sospetto dei mercati internazionali. La pubblicazione da parte del quotidiano Huffington Post della bozza del “contratto del cambiamento” nel maggio del 2018 venne accolto come un tsunami e portò lo spread a lievitare fino ai 151 punti base. Un risultato che, comunque, rimane inferiore alla media raggiunta nel primo anno di governo. Da quel momento, infatti, è iniziato un corpo a corpo tra governo e istituzioni che a più riprese ha fatto lievitare il differenziale tra Buoni del tesoro e Bund tedeschi. I momenti di frizione si sono registrati proprio in concomitanza dell’acutizzarsi di questi scontri.
I momenti
La fase di maggiore tensione per i titoli del nostro debito pubblico è stata registrata tra la fine di ottobre e la fine di novembre, quando il governo Conte era nel pieno dei negoziati con l’Europa. In particolare, il 20 novembre scorso, alla vigilia della bocciatura della manovra, il differenziale registrò più di 326 punti, il valore più alto di questi primi 12 mesi. Un dato paradossalmente peggiore di quello registrato il 21 novembre, giorno in cui si concretizzò effettivamente la bocciatura della legge finanziaria, comunicata al ministro dell’Economia Giovanni Tria con una lettera firmata dal Commissario per gli affari monetari Pierre Moscovici e dal vice presidente della commissione Valdis Dombrovskis, rimane un unicum della storia europea, visto che fu la prima volta che il governo italiano utilizzò la clausola contenuta nel Patto di Stabilità del 2013. La missiva in quell'occasione accusava l’Italia di “una violazione grave e manifesta delle raccomandazioni adottate dal Consiglio ai sensi del Patto di Stabilità e Crescita”. Una preoccupazione che ha fatto schizzare lo spread ad uno dei valori più alti degli ultimi 5 anni.
E dire che solo un mese prima, in ottobre, lo spread era tornato ai livelli del 2013, deprimendo anche le quotazioni di Piazza Affari. In quell'occasione a farlo salire furono i problemi interni al governo e le accuse di Di Maio che si scagliò contro “una manina” che avrebbe manipolato “Il testo sulla pace fiscale inserito in manovra e trasmesso al Colle” su cui c’era l’accordo tra tutti i ministri. A cercare di spegnere l’incendio divampato dopo la polemica arrivò anche il comunicato del Quirinale che spiegava come “In riferimento a numerose richieste da parte degli organi di stampa l'ufficio stampa del Quirinale precisa che il testo del decreto legge in materia fiscale non è ancora pervenuto al Quirinale per la firma del presidente della Repubblica”. Tuttavia, il 18 ottobre, all'apice della tensione tra Lega e M5S, il rendimento dei buoni del tesoro decennali italiani salì oltre i 319 punti.
Politica nazionale e relazioni internazionali
Nei primi giorni di febbraio la visita di Luigi Di Maio, leader del Movimento 5 Stelle, ad alcuni rappresentati dei Gilet Gialli scatenò un'aspra polemica con il presidente francese Macron. Una querelle che portò al richiamo in patria dell’ambasciatore francese a Roma. Non succedeva dalla seconda guerra mondiale. La crisi con la Francia, tuttavia, non può spiegare la prima vera impennata dello spread del 2019. A mettere sotto stress il nostro debito sono state le preoccupazioni per i dati macroeconomici espresse dal Fondo Monetario Internazionale e il taglio sulle previsioni di crescita della Commissione Europea, che hanno spinto lo spread vicino alla soglia psicologica dei 300 punti. In più, i dati relativi alla produzione industriale su base annuale, pari al -5,5%, furono così negativi da sorprendere anche gli analisti, che prevedevano perdite contenute entro il -3,0%.
Buoni o cattivi?
Dopo l’altalena di quest’anno, il differenziale tra Btp e Bund ha portato il valore degli interessi dei titoli italiani vicino a quello dei buoni greci. Per il resto, in questa classifica Paesi Bassi, Belgio e Francia fanno meglio di noi, mentre i buoni ungheresi vengono ancora considerati dai mercati più rischiosi. Peggio di noi anche l’Islanda, che tra il 2008 e il 2011 ha visto il collasso delle sue tre banche principali che detenevano la maggior parte dei titoli del tesoro. Ne è conseguita una crisi di fiducia che non ha ancora smaltito le sue tossine.