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Cosa non funziona nella filiera alimentare

Il professor Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, è ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica. “L’aumento delle intossicazioni è connesso alla cattiva conservazione degli alimenti, come nel caso delle uova o delle creme fresche che diventano vettori della salmonella – osserva Ricciardi-. I controlli sono di fatto autoreferenziali, cioè affidati agli stessi ristoratori perché le aziende sanitarie hanno pochissimi ispettori e le verifiche sono inesistenti”.

I sequestri dei Nas

Sulla carta le regole ci sono, però, per economizzare, “i ristoranti non formano il personale che diventa quindi la principale fonte di inquinamento del cibo”. In altri paesi, come gli Stati Uniti, sono obbligatori per legge i cartelli che sollecitano gli addetti a lavarsi le mani dopo essere andati in bagno. “Da noi no”, sottolinea Ricciardi. Spesso il problema è a monte e inizia molto prima che il cibo arrivi nel piatto. Per esempio a San Vito Lo Capo, nel Trapanese, i Nas hanno scoperto locali usati abusivamente come depositi di alimenti destinati ai ristoranti. Alcuni turisti erano rimasti intossicati mangiando tonno e, per risalire alla provenienza delle pietanze, i Carabinieri hanno ricostruito le violazioni delle linee guida della conservazione. Le infrazioni più frequenti riguardano le condizioni di trasporto di derrate refrigerate che non rispettano la catena del freddo o che favoriscono la proliferazione di microrganismi patogeni e la formazione di tossine per carenze igieniche. L’accesso al pronto soccorso, quindi, è l’ultimo tassello di un mosaico avvelenato.

Intossicazioni alimentari

Prima le tavolate delle feste, poi il pronto soccorso. Boom di codici verdi e bianchi dopo pranzi e cene natalizie nelle quali qualcosa è andato storto. Ad aumentare il numero di intossicazioni alimentari e indigestioni che intasano di urgenze i “first aid” degli ospedali sono l’abbattimento dei costi della ristorazione, l’insufficienza del personale delle Asl addetto ai controlli nelle cucine e l’inadeguata conservazione nei vari passaggi della distribuzione alimentare. “Da Natale all’Epifania milioni di italiani, inclusi anziani e bambini, mangiano fuori casa, così i rischi per la salute si moltiplicano- spiega il professor Antonio Gasbarrini, direttore del Dipartimento di scienze gastroenterologiche al Policlinico Gemelli di Roma-. La filiera alimentare è particolarmente sollecitata durante le festività e a farne le spese sono i consumatori, la cui barriera intestinale è indebolita da stress, eccesso di alcol e cibi grassi”.

Cibo a basso costo

Il proliferare di menù “All you can eat” e di alimenti a basso costo sbilanciano l’alimentazione esponendo l’organismo a batteri patogeni e accrescendo il rischio di infezioni. La ristorazione su larga scala e sempre più economica, in tempi di crisi, tende a tagliare proprio sulla sicurezza alimentare. “Maionese, salse, sughi, vitel tonné, creme dolci prendono il posto a Natale di frutta e verdura, privando la dieta delle fibre indispensabili a tenerla in equilibrio – evidenzia Gasbarrini-. Più portate si consumano, maggiori sono le probabilità di assumere pietanze con sovraccarichi batterici. Insalata russa, uova, pesce, crostacei, molluschi possono diventare veicoli di infezioni se non vengono conservati in maniera adeguata. E, in certi casi, ciò non avviene per risparmiare. Il resto lo fanno le troppe calorie di cibi poco salubri, mangiati senza moderazione”.

 

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