La lunga marcia della democrazia si compone di un altro tassello, il quindicesimo finesettimana consecutivo di proteste a Hong Kong. Dopo il ritiro della legge sull'estradizione, forse il casus belli più noto dell'intera vicenda, gli oppositori del governo filocinese di Carrie Lam sanno di non potersi fermare a cantare vittoria. Devono insistere con la loro domanda di libertà e autonomia. Stavolta lo scontro non è avvenuto tra manifestanti e forze di polizia, ma tra due fazioni opposte. Quella che sostiene il governo e quella all'opposizione, che hanno finito col prendersi a colpi d'ombrello – il simbolo della protesta hongkonghese-. La Cina, in vista del settantesimo anniversario dalla fondazione della Repubblica popolare, ribadisce che quella di Hong Kong è una questione di politca interna e accusa di interferenza altre potenze straniere.
Schieramenti di lotta e di governo
I tafferugli sono avvenuti all'interno del centro commerciale di Amoy Plaza, nel distretto cittadino di Kowloon, dove i sostenitori del governo avevano organizzato una manifestazione, in un gran sventolìo di stendardi cinesi – in riposta alle bandiere a stelle e strisce degli oppositori dei giorni – e slogan in favore della polizia. La loro presenza ha spinto l'altra fazione, quella che lotta per una Hong Kong autonoma libera e democratica, a contro-manifestare. I due gruppi si sono scontrati con calci, pugni e ombrellate. La confusione si è sciolta in mille piccoli rivoli fuori dal mall e si è riversata per le strade, dove passanti e curiosi hanno ripreso il faccia a faccia con i cellulari. È dovuta intervenire la polizia per separare i due schieramenti e riportare la calma, in una giornata comunque più tranquilla delle altre, arrestando un numero imprecisato di persone.
La protesta non si arresta
“Dobbiamo insistere finché il governo non darà una risposta alle nostre cinque richieste. Altrimenti penseranno che ci accontentiamo” del ritiro della legge sull'estradizione. Reuters riferisce le parole di una manifestante. L'opposizione è convinta di dover andare avanti nella protesta. Oltre alla legge, che se fosse passata avrebbe permesso di far giudicare le persone in un paese dove vige la pena di morte – la Cina -, gli antigovernativi chiedono che si smetta di usare il termine “rivolta” per descrivere la protesta, che chi è detenuto per aver manifestato venga rilasciato, che venga istituita una commissione d'inchiesta indipendente sulle violenze della polizia e che gli abitanti di Hong Kong possano di scegliere liberamente i propri rappresentanti politici, senza subire le decisioni cinesi. Tra i motivi della protesta si è inserita anche la rabbia per l'elevato costo della vita nell'ex colonia britannica e le scarse opportunità lavorative. Un altro corteo dovrebbe attraversare la città domenica 15 settembre, nonostante la polizia non abbia autorizzato nella dimostrazione. Dal canto suo, con l'avvicinarsi dei settant'anni dalla sua fondazione, il prossimo 1° ottobre, la Repubblica popolare cinese è sempre più preoccupata dalla frequenza regolare delle proteste. Le autorità hanno inoltre riaffermato che quanto sta accadendo a Hong Kong è una questione interna e hanno lanciato accuse di ingerenza ad alcuni paesi stranieri, come l'Inghilterra e gli Stati Uniti.
Il torneo
La lotta per la democrazia con i suoi disordini, anche violenti, nelle piazze e negli aeroporti ha avuto come effetto il rinvio, a data da destinarsi, di un importante evento sportivo, l'Hong Kong Open Tennis. Un torneo che ha visto i servizi e le voleeé di giocatrici del calibro di Serena Williams e richiama un gran numero di appassionati e tifosi stranieri al grande impianto sportivo di Victoria Park. Che in questi mesi è diventato però punto di ritrovo delle marce antigovernative. Ad informare sulla decisione di posticipare il torneo, il noto canale televisivo inglese Bbc che ha dato notizia della nota congiunta della federazione tennistica locale, la Hong Kong Tennis Association, e la Women's Tennis Association: “Alla luce della situazione attuale, l'evento non avrà più luogo”.