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Petroliere, Teheran accerchiata: accuse anche da Riyad

Si allarga il fronte di chi sostiene le responsabilità dell'Iran nell'attacco messo in atto a due petroliere ne Golfo di Oman. Non ci sono solo gli Stati Uniti, infatti, ad accusare Teheran di aver coordinato un'offensiva deliberata contro le due navi: alla schiera di contestatori si sono aggiunti, in successione, anche il Regno Unito e l'Arabia Saudita, con i britannici unico Paese dell'Unione europea ad aver apertamente dichiarato il loro sostegno a Washington. Un gesto che, naturalmente, non è passato inosservato al governo iraniano che ha immediatamente convocato l'ambasciatore britannico, Rob Macaire, per tentare di svincolarsi dalle accuse che, ora, iniziano a piovere da più fronti nonostante le ripetute negazioni da parte di Teheran. Questo nonostante lo stesso Macaire abbia chiarito come si tratti di “un incontro urgente con il ministero degli Affari Esteri” da lui richiesto e accordato nella giornata di ieri.

Il rischio rallentamento del greggio

Mentre l'Iran tenta di aggiustare le cose con Londra, però, arriva anche il dito puntato dei sauditi, che forse stupisce meno ma che, comunque, rappresenta un'ulteriore motivo di instabilità: Riyad, infatti, non solo ritiene Teheran responsabile di quanto accaduto alle due petroliere ma, al contempo, auspica “una risposta rapida e decisiva”, con il prinicipe Mohamed bin Salman che, in un'intervista al quotidiano “Asharq al-Awsat”, ha esteso le sue osservazioni anche al mancato rispetto da parte dell'Iran della visita del permier giapponese Shinzo Abe, avvenuta proprio in contemporanea agli incidenti dello Stretto di Hormuz. Bin Salman ha precisato di “non volere una guerra nella regione” ma anche che “non esiteremo a fronteggiare qualsiasi minaccia contro il nostro popolo, la nostra sovranità ed i nostri interessi vitali”. Interessi che, ovviamente, si riferiscono principalmente al greggio con i rischi che, nello specifico, si riferirebbero alle forniture, le quali potrebbero subire un rallentamento a fronte di una situazione di forte instabilità nella regione, con molte navi che avrebbero già deciso di girare al largo dallo Stretto, memori anche di quanto accaduto il mese scorso a quattro mercantili al largo degli Emirati Arabi.

Instabilità crescente

Continua, dunque, l'acceso dibattito per capire se, realmente, dietro gli incidenti del Golfo di Oman si celi realmente la mano di Teheran. Negli Stati Uniti ne sono sicuri, visto che è da loro che è partito il video che immortalerebbe gli iraniani tentare di recuperare una mina inesplosa nei pressi dello scafo di una delle navi, ipotesi fermamente respinte dal governo iraniano. Non c'è nessuna prova certa, comunque, che si tratti davvero di uomini delle forze iraniane, così come, al momento, non vi è stato nulla di certo che provasse il coinvolgimento dell'Iran nel sabotaggio ai mercantili del Golfo Persico. Va da se che l'escalation fra Washington e Teheran sia direttamente proporzionale alla decisione degli Usa di uscire dall'accordo sul nucleare, situazione entrata definitivamente in fibrillazione dopo l'invio di alcuni rinforzi militari da parte dell'esercito americano nella zona del Golfo, tra i quali missili Patriot e la portaerei “Abraham Lincoln”, un gigante capace di portarsi dietro 40 cacciabombardieri. Una condizione di forte rischio che, però, non sembra andare poi così a genio al Congresso degli Stati Uniti.

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