Aben vedere era solo questione di tempo prima che la protesta di Hong Kong si trasferisse in qualche modo sul web. Di mezzo c'è sempre la Cina che, in attesa di un paventato intervento in città per sedare quella che è stata inquadrata dal governo di Pechino come una rivolta, viene accusata di aver creato almeno duecentomila account su Twitter e un altro numero imprecisato su Facebook con il preciso scopo di screditare la protesta del “Porto profumato” e “seminare discordia politica”. Una denuncia che arriva dagli stessi staff dei due social network, secondo i quali gli account fittizi sarebbero stati individuati tramite delle indagini ad hoc, le quali avrebbero fornito, stando a quanto rivelato da una nota ufficiale diramata da Twitter, delle “prove affidabili” di una vera e propria “operazione coordinata sostenuta da uno stato”. Nella stessa relazione, si specificava che erano stati “identificati gruppi di account che si comportavano in modo coordinato per amplificare messaggi relativi alle proteste di Hong Kong”.
L'altra indagine
Sulla stessa lunghezza d'onda anche Facebook, dalla quale è stato precisasto che “anche se le persone dietro questa attività hanno cercato di nascondere la loro identità, le nostre indagini hanno rivenuto legami con individui associati al governo cinese“. Un'indagine, quella del social di Zuckerberg, avviata dopo segnalazioni arrivate da Twitter e che, in breve, ha portato alla chiusura di “sette pagine, tre gruppi e cinque account”, a fronte dei 963 profili bloccati dal social dei cinguettii. Secondo gli staff delle due piattaforme, i post sarebbero stati tutti dai toni sostanzialmente simili, palesemente volti a indicare i manifestanti come violenti e disseminando sospetti di altre ragioni dietro la protesta in atto a Hong Kong. Fake diffuse sia attraverso le reti private virtuali (Vpn) che tramite accessi alla rete direttamente dal territorio cinese. Rivelazioni che, probabilmente, forniranno ulteriore linfa a una protesta che nemmeno la repressione dura è riuscita a fermare.