L’Europa, con il suo carico di dubbi e prospettive, è stata al centro della seconda edizione del convegno“Obbligati a crescere”, organizzato da ‘Il Messaggero’ nella sede dell’Associazione bancaria italiana. E, parlando del Vecchio continente, niente di strano se quest’anno si sia deciso di puntare i riflettori su un tema fra i più caldi e stringenti, quello della Brexit, con l’obiettivo di fornirne una lettura trasversale, impostata sul piano politico ed economico. Un compito affidato a relatori quali il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e il commissario responsabile dei negoziati con Londra, Michel Barnier, chiamati a offrire una panaromica sugli effetti che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea potrebbe sortire sul cammino comunitario dei restanti 27 Paesi membri. A questo proposito, se il presidente di Abi, Antonio Patuelli, ha parlato della precisa necessità, per affrontare al meglio le sfide del cambiamento, di “una nuova centralità democratica in Europa, che superi gli eccessi di burocratizzazione”, il premier ha ribadito ancora una volta l’assoluta fermezza dei 27 in merito al negoziato in corso con il governo May, auspicando una risoluzione convergente che sia a vantaggio di entrambi: “E’ necessario che i Paesi membri vadano alle trattative con posizioni chiare: la politica del ‘nessun accordo’ non sarebbe nemmeno nell’interesse del Regno Unito”.
Gentiloni: “Italia, Paese affidabile”
Il vento di burrasca che il referendum britannico avrebbe potuto portare, secondo Gentiloni, si è alquanto placato a un anno di distanza. Dopo la “dolorosa decisione” d’Oltremanica, i successivi sviluppi politici hanno “smorzato il dilagare del secessionismo” per lasciare il posto a “tassi di crescita e di stabilità interessanti”. La sfida per l’Unione europea non verterà soltanto sul concludere al meglio i negoziati con il Regno Unito ma sulla preservazione dei margini di miglioramento riscontrati a livello economico, con un occhio particolare alla situazione del nostro Paese: “Il 2018 sarà uno snodo cruciale per l’Europa che, nonostante i tanti cambiamenti, può contare sulla forza e, soprattutto, sulla coerenza dell’Italia. La nostra posizione, europeista e di apertura agli investimenti, erge l’Italia su un piano di affidabilità che è ben conosciuto dagli altri governi”. Nel percorso di risanamento, inoltre, “abbiamo ottenuto risultati importanti, registrando un -25% sui non performing loans (npl) che adesso vanno di moda rispetto allo spread di qualche anno fa: è l’Italia che ha riagganciato la crescita, non questa o quella parte politica. E questi sono risultati che non vanno dilapidati. Quello di cui non abbiamo bisogno sono regole asimmetriche, la reintroduzione di fattori che favoriscano l’instabilità e, men che meno, regole che ingabbino la crescita”.
La versione di Barnier
Con il premier a concludere il suo intervento riaffermando l’allinamento italiano all’idea di “un progetto europeista integrato”, il capo negoziatore europeo per la Brexit, Barnier, ha articolato il suo discorso su un piano tecnico, ricordando come “il clima di pessimismo che aveva accompagnato il voto britannico non ha fortunatamente trovato riscontri concreti”. Anzi, secondo l’ex ministro dell’Economia francese, “il referendum ha paradossalmente rafforzato l’unità dei 27… Per questo sarà l’unità, maturata attraverso lo sviluppo di una coscienza collettiva e di una responsabilità comune, a guidare l’Unione durante i negoziati”. Trattative che, come ha ricordato a più riprese Barnier, sarà incentrata sul dialogo ma, allo stesso tempo, sulla fermezza dei Paesi membri su 3 punti fondamentali: “In primo luogo il futuro dei cittadini, da considerare nell’ottica di un recesso ordinato del Regno Unito. Su questo punto l’Ue è stata chiara: Londra dovrà chiarire la sua posizione sulla tutela dei diritti dei cittadini europei in Gran Bretagna, così come i 27 dovranno offrire garanzie per i britannici in Europa. Attualmente, i contribuenti sono nell’incertezza”. Secondo punto, “la preparazione delle relazioni future e capire cosa significherà l’uscita dal mercato comune e dall’unità doganale. Di certo – ha precisato Barnier – non c’è nessuna ragione perché il mercato sia più fragile dopo la Brexit”. Infine, un ruolo decisivo verrà giocato dalla volontà anglosassone in merito al modello europeo: “Dovremo capire cosa vogliono fare, perché da questo dipenderanno i nostri rapporti futuri. Ci sono scelte e norme precise, alle quali teniamo: noi non accetteremo che vengano messi in discussione i termini prestabiliti. Saranno naturalmente delle sfide nelle quali dovremo essere ‘europei’, consapevoli che quello che non faremo per l’Europa nessuno lo farà al posto nostro”.
Il dibattito
Probabilmente, gli stessi britannici non avevano immaginato quali conseguenze avrebbe provocato la decisione di avallare la proposta di scissione del governo May. Ne è convinto l’ex premier Romano Prodi, protagonista del dibattito sul tema moderato dal direttore de ‘Il Messaggero’, Virman Cusenza, e che ha visto protagonisti il ministro dello Sviluppo econimco, Carlo Calenda, il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, e il sociologo Marc Lazar. Secondo l’economista, la speranza è che dalla Brexit “nasca la spinta giusta per l’unità europea”, concentrando gli sforzi su “un’uscita ordinata della Gran Bretagna che non precluda legami futuri”. Tesi sostenuta anche dal guardasigilli, reduce dall’esperienza Fincantieri, il quale ha affermato che “il danno possibile che potrebbe arrivare dalla Brexit oscilla fra i 350 milioni e i 4,5 miliardi”. Per Calenda è necessario “evitare la rottura della partnership” ma “non a costi svantaggiosi per noi”.
Tajani: “Recuperare il rapporto fra cittadini e istituzioni”
La chiusura dei lavori è stata affidata al presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, intervenuto per ribadire la centralità del ruolo decisionale dei cittadini, “vittime di rapporti controversi con le istituzioni che invece non dovrebbero esserci”. Secondo il presidente, “è necessario che la politica recuperi il suo ruolo-guida, facendosi interprete della volontà delle persone: se i cittadini percepiscono una politica vicina ai loro interessi, torneranno a guardare con fiducia al ruolo delle istituzioni”. Il percorso post- Brexit, per Tajani, non deve divergere dai capisaldi che hanno accompagnato finora il lavoro dei Paesi membri, mantenendo peraltro “un occhio vigile sull’Africa, con un Piano Marshall che coinvolga anche il mondo dell’imprenditoria”. D’altronde, ha concluso, “credere in una patria europea, senza dimenticare il sentimento nazionale, significa credere in alcuni valori fondamentali: e non possiamo permettere che questi cadano”.