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Coronavirus: e se fosse una nuova Sars?

Nel 2003 l'allora ministro della Salute, Girolamo Sirchia, in piena emergenza Sars – dello stesso ceppo del coronavirus di Whuang – di certo non pensò che avrebbe dovuto affrontare l'allarmismo pandemia fra i broccati della Scala di Milano. Eppure, così fu perché la paura del contagio era così forte che 35 sigle sindacali del teatro scaligero dissero di no al una trasferta prevista in Cina. Oggi il virus di Whuan, dal nome della città-focolaio in cui è sono stati attestati i primi casi, rinnova la stessa paura di diciassette anni fa. Finora in Cina si contano 470 contagi e, stando a quantro riportato dai media cinesi, le vittime sarebbero 17. Ma il virus, che Pechino attenziona per la sua repentina mutazione, ha travalicato la Cina continentale, raggiungendo Taiwan, Hong Kong e Macao, finanche gli Stati Uniti e si teme che la sua corsa nel mondo sia sempre più veloce. Il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, ieri ha convocato a Ginevra il Comitato di emergenza sul coronavirus e, data l'evoluzione rapida della situazione, ha previsto oggi una seconda riunione straordinaria per decidere se sarà opportuno dichiarare l'emergenza internazionale

Virus cinese: cos'è e quali rischi ci sono

Nella gestione dei rischi, anche in ambito sanitario, si usa la parola “risk assessment” per definire la metodologia che determina se un rischio è associato a determinati pericoli. Interris.it ha chiesto al Direttore dell'Istituto di Genetica Molecolare del Cnr, il virologo Giovanni Maga come si configura una gestione del rischio in questo caso.

Professore, quali caratteristiche ha questo virus?
“Il virus appartiene a una famiglia di cui sono noti tanti altri virus. Alcuni infettano l'uomo normalmente, ma sono molto diffusi nel regno animale. Il coronavirus è un parente stretto della Sars che nel 2003 ha causato un'epidemia rilevante con un importante numero di decessi – 800 morti su oltre un migliaio di persone infette”.

Come si trasmette il virus?
“Generalmente i coronavirus albergano in alcuni animali. Nelle zone rurali, i pipistrelli trasmettono questo virus ad altri mammiferi che poi possono cambiare e infettare l'uomo. Quello che possiamo vedere è che si tratta di un coronavirus emerso da qualche mammifero comparso recentemente. È probabile che avesse già infettato persone in aree remote e poi ha cominciato a diffondersi. Può anche capitare che, in zone poco popolate, qualche persona infetta o qualche animale portatore di virus arrivino in una zona più popolata, come Whuan, che conta 11 milioni di abitanti”.

C'è un allarme pandemia?
“Per ora non c'è. Se consideriamo che questo virus gira da un mese, si registrano 600 casi. Il virus si trasmette da uomo a uomo e non sembra dare sintomi così gravi da essere riconoscibile. Va anche detto che le persone decedute – nove per ora – erano persone con situazioni di salute compromesse per le quali il virus è stato letale. Al momento, i casi usciti dalla Cina sono pochi e quindi non sembra che questo virus si stia diffondendo a macchia d'olio. Non c'è, dunque, un allarme pandemia, ma il rischio che si possano  verificare epidemie più o meno piccole anche in altri Paesi o contesti difficili, quello sì”.

Quali sono i fattori di rischio?
“Sicuramente, c'è da prevedere un grande numero di persone per il Capodanno cinese e questo è un fattore che può influire, senza contare che sono in molti a spostarsi per ragioni commerciali. È giusto tenere la situazione sotto controllo e prepararsi al contagio, l'Organizzazione Mondiale della Sanità sta già lavorando in questa direzione. Ma va detto che nel nostro Paese il rischio è minimo e occorre non amplificare la paura”.

Quali accorgimenti sono da prendere?
“Innanzitutto, lavarsi spesso le mani. A montre, però, va detto che è molto importante rendere la popolazione consapevole che i regimi di sicurezza passano anche dall'igiene e in Cina bisognerebbe essere vigili a segnalare casi sospetti alle autorità sanitaria. In una città di 11 milioni di abitanti è impossibile impedire la fuoriuscita del virus e lavorare sulla popolazione è essenziale per arginare il contagio”.

Come la Sars? Per ora no

Il sinologo italiano Francesco Sisci era a Pechino quando nel 2003 scoppiò l'epidemia di Sars e conosce bene il contesto sociale di sviluppo di virus trasmissibili in un Paese densamente popolato che ha una cultura che non ammette tabù alimentari. Per l'esperto italiano di Cina, infatti, è proprio la propensione dei cinesi a mangiare tutto, anche carni animali proibite, ad aver favorito la propagazione del virus, e ciò è stato confermato dagli esperti, che hanno messo sotto la lente i cosiddetti wet market, mercati – anche illegali – che versano in condizioni igeniche altamente precarie.

Professore, cosa ricorda dei mesi in Cina durante la Sars?
“Ricordo che, allora come ora, colpiva il superaffollamento come fattore di propagazione del contagio. Va poi, però, detto che i cinesi mangiano tutto, a differenza di altri popoli che hanno tabù alimentari, come gli Indiani. Non va, inoltre, sottovalutato che questi virus a diffusione molto rapida e violenta si propagano in climi temperati, mentre in zone tropicali ed equatoriali non attecchisce”.

Lei vede dei punti in comune fra allora e oggi?
“Se penso alla Sars, fu chiara la peridoicità del virus, che nacque con la fine dell'inverno per poi esaurirsi con l'arrivo dell'estate. L'autunno è anche una stagione in cui i focolai riprendono, e così il contagio. Si presume il passaggio da animale a uomo, come nel caso della Sars. Lo dimostra che la Cina sia nel bel mezzo di una peste suina ancora oggi. Nel 2003 fu un animale selvatico ad aver trasmesso il virus e, da allora, è stata proibita la vendita di alcuni animali selvatici che, comunque, continuano ad essere presenti illegamente. Rispetto a quell'anno, stavolta la Repubblica Popolare Cinese si è mossa tempestivamente, sebbene già un mese fa si sapesse di un paio di casi”.

Cosa pensa della comunicazione?
“Whuan è una città grande, contra 11 milioni di abitanti. L'allarme medico è opportuno, ma un allarmismo semina il panico. Per questo va fatto con prudenza e trasparenza. Per esempio, sappiamo che attualmente in Mongolia ci sono diversi casi di peste bubbonica, eppure non vengono fatti allarmismi, ma la situazione è affrontata con il giusto equilibrio. La stessa prudenza e accortezza andrebbe adottata in questo caso, dove questa forma di polmonite atipica è per ora poco letale”.

L'ex ministro Sirchia: comunicare sempre

Girolamo Sirchia era Ministro della Salute quando, nel 2003, scoppiò l'epidemia di Sars e l'incubo pandemia arrivò anche in Italia, con due pazienti cinesi sospetti ricoverati a Roma e Milano. All'epoca, l'allora ministro lanciò l'allarme sui voli provenienti dalla Cina, chiedendo l'intervento netto dell'Unione europea.

Professore, ricorda come agiste?
“La Sars ci colse di sorpresa: ci trovammo per la prima volta di fronte a un'epidemia di cui sapevamo poco, era tutto nuovo. Il primo momento fu di grande meraviglia e stupore. Il secondo problema è che arrivavano gli aerei dalla Cina e sabrcavano passeggeri a Fiumicino e questi entravano in Italia e non cosa facessero e se arrivassero già febbrili. Quundi, abbaiamo applicato la gestione dei rischi”.

In che modo?
“Abbiamo cominciato con il risk assesment e il risk management presupponendo tre scenari: benigno, medio e maligno. Dopo aver definito la natura del virus, abbiamo fatto ricerca e capito come agire sul territorio. Per la prima volta a Fiumicino fu installato un corridoio sanitario con una macchina che misurava a distanza la temperatura deii passeggeri per isolare con una quarantena qualcuno che mostrava sintomi sospetti. Oggi, come allora, bisogna attrezzare le rianimazioni con strumenti per l'ECMO oltre alla rianimazione respiratoria. C'è, inoltre, tutta una protezione del personale che va implementata per evitare che il personale sanitario si infetti”.

Allora ci fu il rischio panico?
“Sì, l'allarme era mortale e bisognava evitare un panico esagerato. Ricordo che feci una riunione con 35 sigle sindacali della Scala perché il personale non voleva più partire per un appuntamento previsto in Cina. Bisogna anche considerare le ripercussioni sui commerci, sull'arte e tutto quello che si svolge nella vita delle nazioni”.

Per questo, come bisogna comunicare in questi casi?
“Credo che un Ministero non debba nascondere le notizie, ma spiegarle. Il telegiornale ha cominciato a comunicare  e il governo dovrebbe fare un bollettino ogni giorno per informare senza allarmare. La cosa importante è che parli sempre uno scienziato, che non nasconda mai la verità e che non faccia allarmismo né sottovaluti la situazione”.

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