Più difficile ottenere un importante risultato politico o risvegliare dal torpore del mondo consumistico una generazione di ragazzi e riportarli in piazza a difendere il pianeta? Più che la domanda, qui conta la risposta visto che, in qualche modo, entrambe le variabili si sono realizzate nel 2019 che va in archivio. Niente di italiano nel primo caso, dal momento che il risultato più clamoroso lo hanno ottenuto altri politici in altri Paesi. Nel secondo un po' di Italia c'entra, come vi entrano però una marea di altre Nazioni. Segno evidente di come, in realtà, il ventesimo anno del nuovo Millennio chiuda di fatto le prime due decadi del Duemila consegnandoci un mondo ultraconnesso e quanto mai globale nell'accezione più virtuale possibile del termine. I messaggi di aggregazione viaggiano in rete, così da rendere la protesta singola di una giovanissima studentessa svedese un fenomeno di portata mondiale, grazie a una potenza dei media che, ormai, va ben oltre l'ipotetico Quarto potere che ispirò il Citizen Kane di Orson Welles. Era il 1941 quando il regista americano diede alla luce uno dei film più importanti della storia del cinema, costruendo le fortune del suo magnate sul sapiente e furbesco utilizzo dei mezzi di comunicazione come leva e gancio al tempo stesso. Ma la gigantesca e desolata Xanadu di Kane è lo scotto da pagare per chi costruisce senza passione. E la rete è un po' la Xanadu di oggi, bella e variegata ma troppe volte trasformata in una forma di isolamento, in grado di separare più che di unire. Per questo, nel tirare le somme del decennio che va e nell'accogliere quello che viene, vale la pena di soffermarsi su quanto di buono viene veicolato e su cui vale la pena di lavorare per il futuro. In questo senso, il risultato politico e una pacifica ma immensa protesta sulle note di Earth Song assumuno più o meno la stessa valenza. Con la consapevolezza che l'obiettivo dell'uomo resta lo stesso: lasciare un'eredità positiva e lavorare per la pace. Mica semplice. Forse per questo la ricerca dell'umanità resta la stessa, nonostante lo scorrere inesorabile della storia.
Ecco quindi i cinque personaggi che, nel 2019 che passa agli archivi, hanno lasciato (o dovranno lasciare) le tracce su cui costruire il 2020 che verrà.
1. Greta Thunberg
Greta Thunberg – Foto © Afp
Time l'ha scelta come persona dell'anno, i giovani del Duemila come l'ispirazione per ritornare ad appropriarsi del proprio futuro. Scetticismi e dietrologie a parte, la giovanissima attivista svedese è ormai una personalità a tutti gli effetti, in grado di parlare con scioltezza del disastro climatico della nostra epoca alle convention internazionali piuttosto che nelle assemblee delle Nazioni Unite, fino ad arrivare al campo a lei più familiare, quello delle piazze con i suoi coetanei. La battaglia per il clima è forse l'eredità più importante che il decennio degli Anni Dieci ci lascia, con milioni di ragazzi e ragazze che prendono in mano il vessillo del pianeta che soffre portando alla classe dirigente l'istanza del futuro firmata dalle generazioni che, tacciate di lassismo e dipendenza tecnologica, dimostrano di essere ancora in grado di scendere in strada con la forza delle idee. Il 2020 (o comunque il decennio in entrata) ci dirà se la sfida climatica può essere vinta o se, come qualcuno sospettano, la deriva del riscaldamento globale sia ormai una corsa contro il tempo troppo impegnativa per il genere umano. Fatto sta che, mentre i ghiacci si sciolgono, sulla scia di Greta si consolida una protesta importante, con lo “Skolstrejk for klimatet” iniziato a Stoccolma diventato ormai il fenomeno globale dei Fridays for Future. Quello che i millennials hanno iniziato a rivendicare.
2. Fabiola Gianotti
Fabiola Gianotti – Foto © Cern
Quando lo scorso anno il matematico Alessio Figalli si guadagnò l'eccezionale premio della Fields Medal, la scienza italiana riceveva il secondo importantissimo riconoscimento nel giro di pochissimi anni. Il primo, con record annesso, lo aveva già ottenuto con la nomina della scienziata romana alla direzione del Cern, il più grande laboratorio di fisica delle particelle al mondo. La prima donna in cinquant'anni a riuscire a scardinare i cancelli di una carica a esclusivo appannaggio maschile. Segno evidente di un cambiamento dei tempi e dell'elevazione sempre maggiore della donna in ogni campo del sapere, conferendo all'importante carriera scientifica di Fabiola Gianotti forse il riconoscimento di maggior prestigio. Lei, una fisica dichiaratasi credente, convinta sostenitrice della tesi per cui scienza e fede possono coesistere, a guida dell'avveniristico centro in cui l'acceleratore di particelle prova a spiegare l'origine del tutto. E nel 2019 un altro record: il lavoro svolto nei suoi cinque anni da dirigente in Svizzera le vale il secondo mandato alla guida del Cern. Nessun altro prima di lei c'era riuscito.
3. Abiy Ahmed Ali
Abiy Ahmed Ali
Non sempre il Premio Nobel per la Pace è garanzia per il futuro ma, di sicuro, è un riconoscimento importante per quanto si è fatto. E gli sforzi condotti da Abiy Ahmed Ali per il suo Paese, l'Etiopia, sono stati estremamente impegnativi e volti non solo alla stabilità della propria Nazione ma, indirittamente, di un'area in crisi come il Corno d'Africa. Veniva eletto nel 2018, al termine di una protesta di massa contro il premier precedente Desalegn, soprattutto per ragioni etniche, ereditando un Paese logorato da due decenni di rapporti gelidi con la vicina Eritrea, tragico lascito del conflitto armato di fine anni Novanta. In qualche mese riorganizza la sua Etiopia, promuove riforme sul piano interno e riallaccia rapporti su quello esterno, invitando il dittatore eritreo Isaias Afewerki a trattare la riaperture delle ambasciate e il ritorno a una relazione cordiale fra due Stati che, a ben vedere, fino al 1991 era uno solo. L'abbraccio con Afewerki segna la fine della “guerra fredda” e la ripresa dei rapporti fra Asmara e Addis Abeba, con conseguenti influssi positivi anche nelle regioni vicine, martoriate dall'emergenza profughi e dall'influsso del jihadismo di al-Shabaab. Il Nobel è idealmente un riconoscimento anche per l'Africa, capace di sconfiggere i propri rancori e di lavorare per un obiettivo comune. In questo caso quella della pace.
4. Boris Johnson
Boris Johnson – Foto © Afp
In quanto politico e rappresentante (anzi leader) di un partito può piacere o non piacere ma al premier britannico va certamente il merito di aver ribaltato una situazione sfavorevole sotto ogni aspetto riuscendo a risolvere uno stallo che minacciava di costare un prezzo altissimo per il proprio Paese. Boris Johnson, in pochi mesi, prima disfa e poi fa, perdendo la maggioranza in Parlamento per poi riconquistarla a suon di voti, guadagnandosi la conferma a Downing Street e l'onere (cercato) di portare fuori dall'Unione europea la Gran Bretagna nel momento in cui la risoluzione della vicenda Brexit sembrava ormai un miraggio dopo i tre tentativi andati a vuoto sotto il governo di Theresa May. Johnson spazza via l'opposizione laburista e incassa il primo ok di Westminster al suo piano di uscita, che ormai riesce a intravedere la linea del traguardo. L'accompagnamento all'uscita, a ogni modo, apre nuovi fronti critici: sul piano interno premono la Scozia e l'Irlanda del Nord, una che vuole mantenere la sua vocazione filoeuropea, l'altra che aspetta di conoscere quali saranno gli effetti definitivi del backstop e la natura dei confini con l'Eire prima di voltare le spalle a Bruxelles. Sul lato esterno c'è tutta l'incognita del futuro. Johnson ha portato a termine la volontà dei britannici espressa con il referendum del 2016, mantenendo la promessa fatta all'elettorato ma trovandosi di fronte alla parte più complicata dell'intera vicenda Brexit: garantire al Regno Unito la competitività a livello internazionale. In questo senso, la sua sfida inizia adesso.
5. Ursula von der Leyen
Ursula von der Leyen – Foto © Epa/Focke Strangmann
Forse fa da contraltare a quella di Boris Johnson la figura della nuova presidente della Commissione europea. E' la prima donna a prendere le redini di Bruxelles e le raccoglie praticamente nel momento in cui il voto con cui il Regno Unito dà fiducia al premier Tory certifica la riuscita del piano Brexit. Niente di strano che il primo messaggio da dare sia quello dell'unità: “Un membro della nostra famiglia intende lasciare la nostra Unione – ha detto nel suo discorso all'Europarlamento – e io non ho mai sottaciuto che sarò sempre una remainer. Ma rispetteremo la decisione dei britannici e troveremo sempre delle soluzioni alle sfide comuni, ma qualsiasi cosa serba il futuro per noi il legame e l'amicizia dei nostri popoli non possono essere spezzati”. Un incoraggiamento ma anche un avviso ai naviganti: chi vuole restare in Europa deve anche credere nell'Europa e nei suoi obiettivi di sostenibilità ambientale ed economica. La sfida più impegnativa, rafforzare la moneta unica (come dichiarato in un'intervista a Repubblica), Von der Leyen prova a farla diventare obiettivo e raccoglie l'istanza dei giovani FFF sostenendo il Green deal globale. Nel senso che l'Europa si impegna a farsi portavoce della battaglia ambientale adeguandovi anche le politiche economiche continentali. Una sfida da pesi massimi.