Un giorno dopo l’altro, impercettibilmente, la memoria comincia ad affievolirsi, i gesti quotidiani diventano più difficili da compiere e lentamente, molto lentamente, arriva il vuoto. Lo specchio riflette un volto, il nostro, sconosciuto come quello delle persone che ci circondano. La vita diventa il nulla. È la malattia di Alzheimer, il buio che fa paura, la sofferenza inevitabile di chi la sperimenta su se stesso e di vive con il malato. Oggi è diventata una patologia sociale, ma nel tempo la neuroscienza ha fatto progressi, si conosce e ed esistono delle possibilità di prevenire la neurodegenerazione. Nel abbiamo parlato con il Franco Giubilei, professore associato presso la Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università di Roma “La Sapienza”, autore di oltre 120 pubblicazioni scientifiche – la maggior parte su riviste internazionali – di cui oltre 50 riguardanti il campo delle demenze e responsabile dell’Unità valutativa Alzheimer (Uva) preposta alla diagnosi differenziale e al trattamento farmacologico di questa malattia.
Professore, si stima che circa 1 milione e 241 mila persone siano affette in Italia da demenze. È un numero piuttosto alto. Quali sono le possibili cause?
“La causa principale è sicuramente l’invecchiamento della popolazione. Consideri che la prevalenza delle demenze correla con all’età, e va dall’1% a 65 anni fino a circa il 40% intorno ai 90 anni. Questo significa che quasi una persona su due a 90 anni presenta una demenza. Da questi dati è facile dedurre che più la popolazione invecchia e più aumenta il numero delle persone affette da demenza. Non bisogna poi dimenticare che sono migliorati gli strumenti diagnostici e la sensibilizzazione a questa patologia, che un tempo veniva spesso considerata come un 'invecchiamento fisiologico' dovuto all’età. In passato quindi la demenza era sicuramente sotto stimata”,
Che differenza c’è con la Malattia di Alzheimer?
“La demenza è una sindrome clinica, cioè un insieme di sintomi, che può essere causata da tante malattie. Alcune di queste sono malattie primarie dell’encefalo altre sono malattie sistemiche che solo secondariamente colpiscono il sistema nervoso. La più frequente causa è la Malattia di Alzheimer che rappresenta circa il 60% di tutte le demenze”.
Cosa sappiamo oggi di questa patologia?
“E’ una malattia neurodegenerativa che interessa la corteccia cerebrale con una precoce perdita di neuroni. La causa di questa degenerazione non è del tutto chiara, anche se al momento l’ipotesi più accreditata è quella di un accumulo nel cervello di una proteina che si chiama beta-amiloide. L’accumulo di questa proteina porta all’alterazione di una seconda proteina, la proteina Tau, con conseguente morte neuronale. Questo processo comunque è lungo e dura molti anni. E’ stato calcolato che dalle prime alterazioni cerebrali alla comparsa dei primi sintomi passano circa 20-25 anni”.
Ci sono delle peculiarità genetiche?
“Esistono due tipi di Malattia di Alzheimer: la forma familiare e quella sporadica. La prima è rara, rappresenta meno dell’1% dei casi, ed è dovuta a una trasmissione genetica autosomica dominante, che si trasmette da genitore a figlio/a. Questa forma è ad insorgenza precoce colpendo soggetti relativamente giovani, sotto i 60 anni. Esiste poi una forma sporadica, ad insorgenza tardiva, che rappresenta la stragrande maggioranza dei casi, ed è dovuta a un meccanismo multifattoriale. Questo significa che affinchè la malattia a forma sporadica si manifesti, è necessario avere una predisposizione genetica a cui si devono aggiungere fattori di rischio ambientali, come ipertensione, diabete, fumo, vita sedentaria, ridotti stimoli cognitivi”.
Esiste la possibilità di eseguire esami diagnostici precoci?
Premesso che quella della Malattia di Alzheimer rimane ancora una diagnosi clinica, basata cioè sulla presenza dei deficit cognitivi, negli ultimi anni sono stati individuati validi esami strumentali per fare una diagnosi precoce e più precisa. In mancanza di una valida terapia eziologica, l’utilità di questi esami nella pratica clinica comunque è ancora limitata. Al contrario il loro uso è fondamentale nella ricerca di base e nello sviluppo di nuove strategie terapeutiche”.
Come può un parente riconoscere i primi sintomi?
“L’inizio della malattia è difficile da riconoscere perché la progressione clinica è molto lenta e i primi disturbi possono essere mascherati da uno stato ansioso-depressivo. Nella forma tipica compaiono per primi i disturbi della memoria di eventi recenti associati ad episodi di disorientamento sia spaziale che temporale e difficoltà nel trovare le parole. Ci sono però anche forme atipiche che iniziano con disturbi del linguaggio oppure con deficit visuo- spaziali. In generale, un parente deve iniziare ad allarmarsi quando si accorge che ci sono frequenti dimenticanze o difficoltà nel linguaggio, soprattutto nel trovare le parole”.
La fase post-diagnostica vede i familiari impegnati in una gestione alquanto difficile
“La malattia di Alzheimer non colpisce solo il paziente ma tutta la famiglia, che spesso corre il rischio di una disgregazione. La malattia è lunga, in media dura circa 10 anni, con progressiva perdita delle autonomie funzionali. Negli stati avanzati della malattia il paziente necessita di un’assistenza continua perché non è più in grado di svolgere anche le più semplici attività della vita quotidiana. Ma ancora più impegnativa è la gestione dei disturbi del comportamento, quando questi sono presenti. Spesso questi disturbi sono ingestibili e sono la causa più frequente di richiesta di intervento sanitario e di istituzionalizzazione del paziente.
Qual è il suggerimento generale per fare prevenzione?
“La prevenzione della Malattia di Alzheimer deve partire dall’infanzia. E’ fondamentale nel corso della vita crearsi un’elevata riserva cognitiva con un’intensa attività cognitiva che deve partire dalla scuola e proseguire per tutta la vita. Così com’è fondamentale tenere uno stile di vita sano, eliminando, o cercando di controllare, tutti i fattori di rischio vascolare come fumo, ipertensione, diabete, ipercolesterolemia e mantenendo una buona attività fisica. E’ utile inoltre avere sempre una sana e corretta alimentazione”.