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Ipertensione, una patologia subdola da non sottovalutare

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Professore Associato presso il Dipartimento di Medicina Interna della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

L’ipertensione arteriosa (IA) rappresenta un problema sanitario molto serio basti pensare che circa un quarto della popolazione adulta mondiale ne è affetta e, a motivo del nostro stile di vita, sembrerebbe essere in rapida crescita. La prevalenza di IA varia nelle diverse parti del mondo, la prevalenza più bassa si osserva nell’India rurale (3,4% negli uomini e 6,8 % nelle donne) mentre quella più elevata viene rilevata in Polonia (68,9% negli uomini e 72,5% nelle donne). Le cause sono individuate con certezza solo nel 10/15% dei casi, spesso secondarie a patologie endocrine o cardiovascolari (iperaldoseronismo, feocromocitoma, stenosi dell’arteria renale ecc.) per la maggior parte dei casi risulta sconosciuta sebbene sia da ricercare in predisposizioni genetiche, in fattori ambientali quali l’alimentazione e la sedentarietà, nell’aumento del tono del sistema nervoso simpatico, nello stress quotidiano e nell’invecchiamento.

L’IA è il principale fattore di rischio per lo sviluppo di patologie cardiovascolari, in particolare gioca un importante ruolo nella patogenesi del danno d’organo. Nello specifico è responsabile per circa il 55% dei casi di infarto del miocardio e di insufficienza cardiaca congestizia, di circa il 60% dei casi di stroke e rappresenta in circa il 27% dei casi la causa che conduce all’uremia terminale nei pazienti in dialisi. La sintomatologia nella maggior parte dei casi è subdola e molto sfumata, tanto da essere spesso sottovalutata e il riscontro di una ipertensione è frequentemente conseguente al riscontro di una misurazione casuale. Nei casi di ipertensione importante possono manifestarsi sintomi come cefalea, nausea, vomito, acufeni ed a volte epistassi.

Il danno d’organo spesso risulta silente ma è fondamentale mettere in atto interventi diagnostici finalizzati alla sua individuazione che ci permettono di stratificare il rischio cardiovascolare globale. Molti trials clinici hanno dimostrato che la presenza di albuminuria (elevata escrezione urinaria di albumina) si associa con un’aumentata mortalità per cause cardiovascolari sia nei soggetti diabetici che non diabetici. Numerosi studi hanno evidenziato il ruolo prognostico negativo dell’ipertrofia ventricolare sinistra e dell’ispessimento miointimale carotideo, inoltre, hanno rilevato una maggiore prevalenza di queste due complicanze nei soggetti ipertesi rispetto ai soggetti normotesi. Studi recenti hanno dimostrato che in assenza di una valutazione ultrasonografica cardiovascolare finalizzata ad identificare la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra e di ispessimento della parete vascolare o di placche aterosclerotiche, circa il 50% della popolazione ipertesa potrebbe essere classificata a rischio basso o moderato. Mentre la presenza di danno d’organo cardiaco o vascolare tende a collocare tali pazienti in una fascia di rischio più elevata.

Analisi post-hoc di studi prospettici hanno dimostrato che la terapia farmacologica antipertensiva induce una regressione dell’ipertrofia ventricolare sinistra e dell’albuminuria, riducendo il rischio cardiovascolare. Tali evidenze scientifiche suggeriscono l’importanza della valutazione del danno d’organo sia nell’inquadramento clinico iniziale del paziente iperteso sia durante il follow-up per valutare l’efficacia del trattamento antipertensivo.

 

 

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