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DUE ANNI FA SCOMPARIVA GIULIO ANDREOTTI

“A pensar male si commette peccato ma quasi sempre ci si prende” era la sua battuta preferita e, in un certo senso, quella che meglio gli si addiceva. Perché di Giulio Andreotti se ne sono dette tante, alcune (purtroppo) vere, altre verosimili, altre, infine, totalmente infondate. A raccontarne vita, carriera e vicende controverse non basterebbe una biblioteca. Così oggi, a due anni dalla scomparsa, ci limitiamo ai passaggi cruciali. Nasce a Roma il 14 gennaio 1919 e cresce in una umile famiglia cattolica, corporatura fragile, frequenti emicranie originate da un possibile deperimento organico. Quando svolge la visita militare il medico gli dà non più di sei mesi di vita. “Quando divenni ministro – raccontò Andreotti a Oriana Fallaci – lo chiamai ma nel frattempo era morto lui!”.

L’avventura politica inizia tra i banchi della facoltà di Giurisprudenza, Andreotti fa parte della Federazione Universitaria Cattolica, l’unica ammessa dal fascismo, e dirige Azione Fucina, giornale di riferimento del gruppo. Un giorno gli dicono che De Gasperi in persona lo voleva a lavorare per lui. E’ il principio di un impegno durato più di 70 anni. Dopo la guerra Andreotti fa parte dell’assemblea Costituente ed è il più giovane ministro degli Interni della storia, a soli 34 anni. E’ il primo incarico di un lungo cursus honorum: 7 volte presidente del Consiglio, 8 ministro della Difesa, 5 volte agli Esteri, 3 alle Partecipazioni Statali, 2 a Industria, Finanza e Bilancio, 1 volta a Tesoro, Cultura e Politiche Comunitarie. Un recordman dai molti soprannomi: “Divo Giulio”, “Grande A”, “Prima Lettera dell’alfabeto”, “Gobbo” e molti altri.

Molte le vicende controverse che lo hanno riguardato: l’uccisione del suo uomo in Sicilia, Salvo Lima, dei corleonesi comincia a sollevare sospetti sui presunti rapporti tra la mafia e la sua corrente politica. Voci che sembrano trovare conferma nelle parole di tre pentiti: Leonardo Messina, Giovanni Brusca e, soprattutto, Baldassarre Di Maggio che, in sostanza, lo accusano di avere rapporti stabili con Cosa Nostra, anzi, il primo dei tre si spinge oltre, descrivendolo come un vero e proprio uomo d’onore. Il successivo processo, pur confermando rapporti e relazioni con uomini dei clan almeno sino al 1980, si conclude con la prescrizione. Assoluzione totale invece per il caso Pecorelli, il giornalista ucciso il 20 marzo 1979 mentre stava preparando un’inchiesta scottante proprio su Andreotti e la Dc. Vicende che, assieme alla sua riservata vita privata, alla sua diabolica precisione, alla sua memoria, hanno reso agli occhi degli italiani Andreotti come il depositario di tutti i segreti dello Stato. Famosa la battuta di Beppe Grillo “quando morirà togliamogli dalla gobba la scatola nera”. Peccato che, come in tutti i più misteriosi disastri aerei, non sia stata ancora trovata.

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