Mancano pochi giorni al 24 settembre, il termine entro il quale il Parlamento italiano dovrebbe intervenire sul pronunciamento della Corte Costituzionale, che ha ritenuto incostituzionale l'articolo 580 del Codice penale, che punisce chiunque istighi una persona al suicidio o l'aiuti a metterlo in pratica. Undici mesi fa, però, la Consulta ha deciso di rinviare la sentenza, consentendo al Governo italiano di colmare il vuoto giuridico sul tema. In questi mesi, però, il Parlamento è riuscito solo ad abbozzare alcune proposte di legge, lasciando che la scadenza del termine fissato dalla Consulta s'avvicinasse inesorabilmente. È, dunque, probabile che, se non si avvierà almeno un iter parlamentare che consenta di dilazionare i termini fissati dalla Corte Costituzionale, sul “fine vita” nel nostro Paese, tematica divisiva per svariate ragioni, interverrà la stessa Consulta: “Se così avverrà, il Parlamento avrà abdicato alla sua funzione legislativa e rinunciato a dibattere su una questione di assoluto rilievo” ha dichiarato ieri il Presidente dei vescovi italiani, card. Gualtiero Bassetti, in un intervento tenuto ieri al convegno Eutanasia e suicidio assistito. Quale dignità della morte e del morire?
Libertà e suicidio assistito
La questione è dirimente sotto vari punti di vista, che non possono essere risolti in circa dieci giorni. In Italia l'eutanasia è vietata in qualsiasi forma: ciò significa che chi la pratica rischia l'accusa ed incriminazione per omicidio volontario, sulla base dell'articolo 575 del Codice Penale, con pene che vanno dai 6 ai 15 anni di reclusione. Ancora più spinoso l'articolo 580 sopraccitato, relativo all'istigazione al suicidio, per la quale sono previste pene sino ai 12 anni ed altri cosiddetti reati minori, come l'omissione di soccorso. I riflettori sul vuoto normativo italiano sono stati puntati dal caso del processo a Marco Cappato per aver assistito e confermato Fabio Antoniani – noto come dj Fabo – nella sua volontà di porre fine alla sua vita. La mancanza di norme, sulle quali preme la Consulta, porta a sentenze isolate, come quella emessa dal Tribunale di Milano nel 2017, che stabilisce che non si può ostacolare la volontà di chi vuole recarsi all'estero per ottenere il suicidio assistito.
Il contesto europeo
Impresso nella memoria è il caso di Noa Pothoven, la 17enne olandese che, a causa di gravi disturbi psichici a causa di alcuni abusi subiti nell'infanzia, aveva chiesto di morire. Un team medico specializzato ha accontentato la sua richiesta e la giovane è morta lo scorso giugno circondata dai suoi familiari. Su quel tragico episodio s'era espresso anche Papa Francesco che, in una nota, aveva scritto: “L'eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza”. L'Olanda è il primo Paese europeo ad aver legalizzato l'eutanasia diretta e il suicidio assistito nel 2001, arrivando a legalizzare anche l'eutanasia infantile attraverso il Protocollo di Groningen. Nel 2002 anche il Belgio ha legalizzato la cosiddetta dolce morte e nel 2009 il Lussemburgo. Tra i Paesi europei, si annovera anche la Svizzera, dove l'approccio a un tema così delicato sembra ambivalente: da una parte, il medico per legge è tenuto a far desistere il paziente, che lo ha richiesto, dall'atto finale; dall'altra, la pratica eutanasica è anche attiva, cioè prevede la somministrazione di un farmaco letale. Nel Regno Unito l'interruzione di cure in taluni casi è consentita dal 2002 e, con essa, anche il suicidio “per compassione”, nei casi più disperati. Dal 2005, la Francia (Legge Leonetti) ammette parzialmente il diritto a “lasciar morire”, favorendo le cure palliative.
La questione dell'eutanasia passiva
La Francia è uno dei Paesi europei che legalizza la cosiddetta eutanasia passiva, che consiste nell'omissione di cure e sostegni necessari alla sopravvivenza del malato. Ad essa s'aggiungono Germania, Finlandia e Austria. Per il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, non si possono negare il nutrimento e l'idratazione. Coincidente a quanto affermato da Papa Francesco, bisognerebbe sviluppare una sensibilità e una formazione per quanto concerne le cosiddette cure palliative. Quando, cioè, l'impiego delle terapie non corrisponde al criterio noto come proporzionalità delle cure, è lecito focalizzarsi sul controllo del dolore del paziente. Tuttavia, come ha ricordato Papa Francesco nel messaggio inviato nel 2017 al Meeting regionale europeo della World Medical Association: “Per stabilire se un intervento medico clinicamente appropriato sia effettivamente proporzionato non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale. Occorre un attento discernimento, che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti”.
L'appello al nuovo governo
All'invito della senatrice Paola Binetti (Udc) a esprimersi sul caso, il presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, ha ribadito che, in primis, va tutelato il diritto alla vita: “che è fondamentale presidio giuridico di tutela per ogni essere umano. Anzi, direi che è quel diritto da cui si irradiano poi tutte le manifestazioni della personalità che andiamo a tutelare successivamente”. In merito, invece, al cosiddetto “diritto alla morte” in nome del principio di autodeterminazione, il premier ha usato l'aggettivo “presunto”, mostrando scetticismo a riguardo: “Sarebbe opportuno – ha detto – incentivare il ricorso alle cure palliative e lavorare per rafforzare la formazione bioetica degli operatori sanitari”. Non resta che attendere che le Camere arrivino a una soluzione in tempi stretti, nella speranza che, complice la crisi di Governo augustana, la Consulta conceda all'Italia “più tempo” per legiferare in materia.