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E’ emergenza plastica nel Mediterraneo

L'

obiettivo è la riduzione della spazzatura marina utilizzando i principi della Gestione integrata delle zone costiere (Iczm) in 5 aree pilota (in Italia saranno due, una in Maremma e una in Puglia), pianificando l'uso e il monitoraggio delle risorse e utilizzando un approccio partecipativo che coinvolga le parti interessate e le comunità locali. L'ambizione è di testare un modello potenzialmente replicabile a tutto il Mediterraneo.

Riserva naturale

“È emergenza plastica in tutto il Mediterraneo”; per esempio sono “10mila le tonnellate che arrivano dalla Tunisia e 40mila quelle che arrivano dall'Italia”, si propone il progetto europeo Common (Coastal management and monitoring network for tackling marine litter in Mediterranean sea), finanziato con 2,2 milioni di euro per costruire una rete di collaborazione tra Italia, Tunisia e Libano per favorire la riduzione dei rifiuti marini, guardando alla sponda sud orientale del Mediterraneo. Il progetto Common coinvolge Legambiente, l'università di Siena, l'Istituto nazionale di scienze e tecnologie del mare di Tunisi, l'Istituto agronomico mediterraneo di Bari, l'ong libanese Amwaj of the environment, l'università di Sousse e la riserva naturale di Tyre in Libano. Si è parlato di plastica, marine litter, buone pratiche e riciclo chimico a “Rivoluzione plastica”, convegno che si è svolto stamattina alla Sala della Regina della Camera dei Deputati. Un evento promosso da Basf e Globe Italia, con il patrocinio dell’Ispra, in occasione della mostra di National Geographic “Planet or Plastic?” (fino a giovedì a Palazzo Valdina), per fare il punto su plastica e imballaggi.

L’indicatore-tartaruga

“Al di fuori dell'Europa – osserva all’Adnkronos Alessandro Bratti, direttore generale dell’Ispra introducendo il dibattito con la ricerca sul marine litter condotta dall’Istituto – il consumo di plastica pro capite sta aumentando rapidamente, soprattutto in Asia le catene del valore della plastica hanno assunto dimensioni intercontinentali, così come lo scambio dei rifiuti di plastica. Nell'Ue circa la metà dei rifiuti di plastica raccolti è inviata all'estero, dove permangono incertezze circa il loro trattamento”. Inoltre “l'ampia distribuzione geografica della specie, la presenza in differenti habitat e la caratteristica di ingerire i rifiuti marini fanno della tartaruga Caretta un buon bio-indicatore per valutare l'impatto sugli organismi dei rifiuti marini, soprattutto della plastica. Dalle analisi effettuate su 150 esemplari di tartarughe spiaggiate è emerso che il 68% presentava plastica ingerita. Necessario quindi individuare le misure da intraprendere a diversi livelli (Ue, Stati membri e autorità regionali, industria) al fine di trasformare le sfide globali nel settore della plastica in opportunità”.

Ambiente marino a rischio

Osserva all’Adnkronos Enrico Giovannini, portavoce di Asvis: “Il futuro è incerto, per questo vogliamo tornare al passato. Ma non è la strada che va percorsa. Abbiamo bisogno di un cambiamento profondo, che richiede tempo, ma anche investimenti che non si stanno facendo, incentivi per stimolare il settore privato ad andare nella giusta direzione. Manca una visione integrata: la mentalità deve cambiare, servono tecnologia e governance. Inserire lo sviluppo sostenibile nella Costituzione sarebbe il primo passo ma da quello devono discendere atti concreti”. Commenta all’Adnkronos Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente: “Se ridurre e riciclare deve essere la priorità, sia per prevenire nuovi apporti di rifiuti in mare che per rendere più gestibile il problema dei rifiuti a terra, oggi è possibile anche approfittare del lavoro quotidiano dei pescatori per rimuovere parte di rifiuti che sono già dispersi nell’ambiente marino, specialmente sui fondali, il 70% dei rifiuti che entrano nell’ecosistema marino affondano. Per farlo però è necessario mettere i pescatori nelle condizioni di riportare a terra i rifiuti che pescano accidentalmente, agevolando il conferimento e soprattutto evitando di sanzionarli per un’attività che oggi, con il dl Salvamare, approvato alla Camera ma ancora in discussione al Senato, in Italia non è possibile”.

Sostenibilità e inquinamento

Dice all’Adnkronos Andreas Riehemann, amministratore delegato di Basf Italia: “Sono molti anni che Basf è impegnata concretamente per la sostenibilità e siamo stati tra i primi ad avere creato i polimeri biodegradabili, ma siamo ben consapevoli che l’utilizzo responsabile della plastica è fondamentale per risolvere il problema dei rifiuti in tutto il mondo e questo vale per le aziende, per le istituzioni e per i consumatori. Grazie al processo ChemCycling, lanciato nel 2018, vogliamo dare il nostro contributo più significativo alla riduzione dei rifiuti in plastica tramite il riciclo chimico con cui siamo in grado di riportare tutta la plastica, anche quella mista e non riciclabile in altro modo, in olio di pirolisi, una materia prima che può essere utilizzata al pari del petrolio come risorsa per realizzare nuovi prodotti”. Precisa all’Adnkronos Chiara Braga, capogruppo Pd in Commissione Ambiente alla Camera e coordinatrice dell’Intergruppo per lo Sviluppo Sostenibile: “La plastica e i comportamenti scorretti ad essa associati, come il mancato conferimento di questo materiale al riciclo, l’inquinamento dei fiumi o la perdita dei carichi nelle grandi navi da trasporto sono in realtà problemi globali. Ma c’è una speranza, l’Italia è, nel campo delle bio-plastiche e del riciclo chimico, un paese all’avanguardia. Occorre perciò trovare una linea mediana che aiuti l’industria ad innovarsi, il cittadino a riciclare: un incrocio virtuoso che vada verso una vera economia circolare. In Parlamento lavoreremo insieme al governo per rendere la plastic tax più sostenibile anche per il settore. Del resto la leva fiscale è uno strumento fondamentale per stimolare e accompagnare la trasformazione in chiave ecologica dei nostri settori produttivi”.

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