Nel corso degli ultimi anni sul piano internazionale e dell’Unione Europea si è incentivato molto l’introduzione in ambito penale della giustizia riparativa. Nel dettaglio, l’ambito minorile è stato interessato da questo nuovo paradigma di giustizia, come è stato definito nel Tavolo 13 degli Stati Generali dell’Esecuzione penale nel 2016. In particolare, lo scopo principale della giustizia riparativa, è quello di riparare il danno causato dal proprio comportamento; le pratiche riparative sostengono una concezione partecipativa della giustizia, che favorisce il reinserimento piuttosto che la punizione e il castigo. Interris.it, in merito a questo argomento e alla sua declinazione concreta, ha intervistato Angelo Santoro, presidente di Semi di Vita, protagonista di un’esperienza di giustizia riparativa che coinvolge ragazzi minorenni in provincia di Bari.
L’intervista
Che valore riveste per voi il concetto di giustizia riparativa in riguardo ai più giovani?
“A mio parere, quello della giustizia riparativa, è il primo concetto che bisogna sposare nel momento in cui si mette piede in un carcere minorile. Le strade, in questo senso, sono lunghe e tortuose ma, il risultato, per quanto riguarda i giovani, è sempre più dietro l’angolo. È molto più complicato lavorare con gli adulti rispetto che ai giovani. In particolare, per questi ultimi, la giustizia riparativa è fondamentale perché essi sono ancora in tempo a cambiare strada.”
Quali sono le attività e i progetti più rappresentativi che svolgete su questo fronte?
“In primis abbiamo una serra all’interno del carcere minorile di Bari dove, con l’ausilio dei ragazzi detenuti, coltiviamo funghi. Inoltre, da qualche mese, grazie a un bando del Ministero della Giustizia, abbiamo inserito un essiccatore professionale, con cui appunto essicchiamo diversi prodotti, in questo periodo, ad esempio, la frutta. Inoltre, a Valenzano, in provincia di Bari, abbiamo un grande progetto che si sviluppa su 26 ettari di terreno confiscati alla mafia dove, una volta formati i ragazzi che hanno dimostrato di volersi reintegrare, hanno il desiderio di lavorare e mettersi in gioco, cerchiamo in tutti i modi di farli uscire dal circuito del carcere, portandoli all’esterno e facendoli lavorare sui terreni. L’obiettivo è quello di preparare loro la strada per fargli prendere il volo, con l’augurio che, in futuro, possano andare a lavorare in maniera stabile da qualche altra parte.”
Quali sono i vostri desideri per il futuro in riguardo all’inclusione e alla reintegrazione nella società di questi ragazzi?
“Lavorare con i giovani è molto complicato perché non si parla di rieducazione al lavoro ma di educazione al lavoro, ossia del primo passaggio rispetto all’attività lavorativa. Spesso, molti di loro, non hanno mai lavorato in termini legali, a nero o nei circuiti che li hanno portati in carcere. Quindi, è complicato far passare il messaggio per cui, forse si guadagnano meno soldi, ma c’è una migliore prospettiva di libertà rispetto a quanto ricevuto fino a quel momento. Il nostro augurio in merito è di riuscire a dare loro maggiori possibilità affinché, una volta usciti dal carcere, possano avere la possibilità di lavorare e non reiterare il reato.”