Una guerra non è mai solo battaglie tra file di soldati. Né una mera questione di strategie belliche, piani di attacco, di difesa o di logoramento dell’avversario. La guerra è ovunque, anche a chilometri di distanza, dove l’eco delle bombe è più tenue ma il loro effetto altrettanto drammatico. Perché chi un conflitto lo subisce, ne incontra le sofferenze più estreme. La mancanza dei bisogni primari, le difficoltà di continuare a vivere in casa, il logoramento interiore portato dall’impossibilità di avere notizie su un proprio familiare al fronte… C’è un grande equivoco di fondo nei conflitti tra gli uomini: l’idea che un esito positivo, per l’uno o l’altro contendente, possa realmente essere propedeutico a un periodo di pace e di stabilità. Dimenticando che, per molti, le sofferenze e le ferite generate potrebbero non guarire mai. E la guerra in Ucraina non fa eccezione.
Padre Paulo Ostrovskiy è un sacerdote in prima linea. Non solo tra i soldati al fronte e accanto ai feriti in ospedale ma anche tra coloro che restano indietro. Tra le famiglie dei militari e tra quelle logorate nello spirito dagli echi della guerra. Membro dei Chierici Mariani dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria di Chmelnyćkyj, nella zona centro-occidentale del Paese, racconta a Interris.it come la popolazione ucraina affronta il conflitto a un anno dall’invasione russa. Ricordando come il supporto necessario non sia solo quello logistico ma anche quello spirituale. Indispensabile per rispondere alla più inevitabile delle domande: “Perché tutto questo?”.
La testimonianza di Padre Paulo
Padre Paulo, l’invio di nuove e più potenti armi viene indicato non solo come un rafforzamento delle dotazioni militari ucraine ma anche come un deterrente al prosieguo delle operazioni russe e portare Mosca al tavolo negoziale. Ritiene che una tale strategia sia efficace per un dialogo fruttuoso?
“Non sono un esperto militare ma, quando sono fra le persone, sento le loro opinioni. Non è possibile difendere la patria senza nuove armi. Però è una questione complicata. Questo non significa, infatti, che queste dotazioni possano portare i russi al tavolo negoziale. L’opinione pubblica ucraina sostiene che Putin non voglia parlare né negoziare ma solo distruggere il nostro Paese. Questo è un pensiero comune, che riguarda l’impossibilità di poter dialogare con lui. Ecco perché il nostro Paese ha bisogno di armi ma solo per la difesa della propria terra”.
Gli ucraini temono il rischio di una guerra a oltranza? Un’eventuale disponibilità russa al dialogo potrebbe realmente favorire una pace o si rischierebbe solo una tregua provvisoria?
“Coloro che ho modo di ascoltare a Chmelnyćkyj, dicono che ogni dialogo con i russi servirebbe solo a una tregua, utile a loro per produrre nuove armi e organizzare ulteriori offensive. La gente è molto impaurita, proprio per l’apparente impossibilità di dialogare con la Russia e la presenza di questa strategia in atto volta a distruggere l’Ucraina. Per questo è difficile fare qualcosa. L’opinione pubblica, in Ucraina, ritiene che soltanto la vittoria possa mettere fine alla guerra”.
In un contesto di guerra, la fede viene messa duramente alla prova. Papa Francesco ricorda quotidianamente l’Ucraina nelle sue preghiere. I cittadini cercano, non solo nelle opere di carità ma anche sul piano spirituale, il conforto della Chiesa?
“La guerra è sempre una prova per la fede. Ci sono tante persone che sono state costrette a cambiare la propria vita, a scappare dalle proprie case… E questo ha generato delle crisi, psicologiche ma anche spirituali. Tante persone sono andate all’estero per ricominciare ma non tutti possono permettersi di espatriare. Per questo lo scopo della Chiesa è aiutare, in primo luogo in senso materiale, donando cibo, cercando un appartamento o magari aiutando qualcuno ad avere un lavoro. La cosa più importante, però, è il supporto spirituale che i sacerdoti sono pronti a fornire, ascoltando le persone, le loro confessioni, a cercare di parlare con loro e tentare di trovare una risposta alle domande esistenziali che una guerra genera. Prima di tutto sul perché Dio permetta tutto questo. Le opere di carità sono importanti ma la presenza stessa dei preti lo è, anche tra i soldati. Io stesso sono un cappellano che opera tra i militari al fronte, così come negli ospedali, dove ho modo di parlare con i feriti. La nostra presenza serve a ricordare loro che Dio non abbandona nessuno. E un’altra cosa…
Dica…
“Il supporto spirituale significa anche stare con le famiglie dei soldati. Le mogli e i figli che restano a casa hanno bisogno di un aiuto, di un sostegno, di una presenza che li aiuti a capire che la Chiesa è vicina, è presente per aiutare a tutti i livelli”.
Gli ucraini credono nel ruolo della diplomazia e dell’intermediazione? Oppure alle partnership è conferito unicamente un ruolo di sostegno logistico ed economico?
“Purtroppo, al momento, le persone hanno poca fiducia nella diplomazia. Dal 2014 sono presenti tensioni sul territorio ucraino e nessun tentativo di dialogo ha avuto effetto. Per questo abbiamo bisogno di aiuto, logistico, economico e, come dicevamo, di supporto spirituale. Gli ucraini credono che si possa ritornare alle condizioni pre-2014, ovviamente con il sostegno dei Paesi occidentali. Dopo un anno, però, abbiamo capito quanto sia difficile trovarsi a un tavolo negoziale, proprio per la mancata volontà dei russi”.
Chmelnyćkyj è solo apparentemente lontana dal fronte. La guerra ha infatti bussato anche alle vostre porte…
“Io lavoro in una città che si trova al centro del Paese e da qui passano molti soldati. Opero molto tra le loro famiglie, che frequentano assiduamente la nostra parrocchia. E io ringrazio tutti coloro che mandano aiuti umanitari, da Paesi vicini e lontani, anche gli italiani. E, non smetto di ringraziare anche per le tante preghiere, che arrivano sia da coloro che possono fornire aiuti che da chi non è in grado di farlo. Questo è importantissimo per noi. La guerra si svolge prevalentemente nel Donbass, Lugansk e Kharkiv ma tante persone soffrono nella parte centrale dell’Ucraina. Qui manca spesso l’elettricità, visto che la rete di distribuzione viene sistematicamente distrutta. Non abbiamo segnale internet né la possibilità di distribuire in modo appropriato l’acqua. Anche se nell’ovest non abbiamo la guerra nel senso stretto del termine, le sofferenze non mancano. Qui ci sono tanti migranti ma non siamo in grado di dare lavoro, perché non tutti i posti funzionano in modo adeguato”.