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Yemen: le Nazioni Unite alzano la voce contro i ribelli Houti

Le milizie Houti dovranno abbandonare le strutture governative nella città di Sana’a, rilasciare il presidente e il primo ministro, ora agli arresti domiciliari e impegnarsi in un dialogo costruttivo mediato dall’Onu: questa le richieste del Consiglio di Sicurezza riunito in sessione di emergenza per discutere della crisi nello Yemen sull’orlo di una guerra civile.

La risoluzione, adottata all’unanimità dai 15 Paesi membri, era stata proposta da Gran Bretagna e Giordania in seguito allo sgretolamento politico nel Paese arabo. Alla base del conflitto ci sono divisioni religiose e tribali. Il territorio settentrionale è abitato in maggioranza dagli houti, sciiti zayditi che si oppongono al governo centrale e al suo esercito guidato da tribù sunnite di Hashid e Ahmar.

Da settembre le milizie Houti sostenute dall’Iran, hanno allargato la zona del loro controllo fino ad ottenere la caduta del governo. In risposta, al Qaeda e altri gruppi islamici sunniti hanno intensificato i loro attacchi. La situazione è degenerata il 17 gennaio, giorno in cui i ribelli hanno preso in ostaggio Ahmed Awad bin Mubarak, capo di gabinetto del presidente Hadi, provocando nei giorni seguenti violentissimi scontri nella capitale Sana’a.

Il Consiglio di sicurezza chiede agli Houti di impegnarsi “in buona fede” a negoziare e a cessare ogni comportamento che ostacoli la pace e che esponga il Paese alla violenza. Si chiede inoltre a “tutti gli Stati membri di astenersi da interferenze che mirano a fomentare scontri e instabilità e sostenere invece la transizione politica”. “A tutte le parti” si chiede inoltre di “porre fine alle attività armate contro il popolo e le legittime autorità dello Yemen e di restituire le armi prese all’esercito e alle forze di sicurezza”.

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